Mahmood volto nuovo dell'Italia: «Vinco con il mio Marocco pop»

Mahmood volto nuovo dell'Italia: «Vinco con il mio Marocco pop»
di Federico Vacalebre
Lunedì 11 Febbraio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 12:12
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Mamma di Orosei, Sardegna, e papà egiziano a cui è dedicato lo sfogo di «Soldi», la canzone regina del Sanremo 2019, amara, hip hop ma non troppo, trap ma con parsimonia, sicuramente elettronica, sostenuta da quel batter delle mani (clap) al tempo dei violini che ci accompagnerà a lungo. (Alessandro) Mahmood vorrebbe e dovrebbe godersi la vittoria ma le polemiche incombono su di lui.
 


Iniziamo a presentarti ai tuoi connazionali, Mahmood?
«Non credevo possibile questo risultato, non ho mai la percezione di quello che succede nella mia carriera, anche se mi ero accorto persino io che mi girava bene, che stava succedendo qualcosa. Ho iniziato a studiare musica a 12 anni, prima corsi di chitarra, poi di canto, quindi di pianoforte. A 19 anni le prime canzoni da autore».

Nel 2012 l'esordio in tv con la partecipazione a «X Factor». Nel 2015 con «Dimentica» vinci il concorso «Area Sanremo» e l'anno dopo arrivi per la prima volta all'Ariston, in gara nella categoria juniores.
«Era l'anno degli Stadio e, tra le Nuove Proposte, di Gabbani. Io mi piazzai quarto. A quel punto qualcuno ha iniziato a credere davvero in me e io ho cercato spazio scrivendo per altri: Elodie (Nero Bali), Michele Bravi, Guè Pequeno e Marco Mengoni (Hola, ma non solo)».

E veniamo al dicembre 2018, con Sanremo Giovani: una settimana di gara con altri 23 ragazzi, tra cui Einar, cubano d'Italia, promosso con te tra i Campioni del Festival 2019. Cantavi «Gioventù bruciata»: «Mettevi in macchina le tue canzoni arabe e stonavi e poi mi raccontavi vecchie favole». Ed ancora più autobiografica è «Soldi», con cui ti sei piazzato sul gradino più alto del podio.
«È una storia che ho vissuto, ma come moltre altre persone, c'è il mio modo di parlare: dire Beve champagne sotto il Ramadan è come dire predica bene e razzola male. E i soldi del titolo sono uno dei contenuti del pezzo, che parla di famiglia, di come il denaro possa cambiare i rapporti al suo interno».
 
Come definiresti il tuo sound?
«Lo chiamo Marocco pop, perché dentro, ci sono le mie radici arabe, ma soprattutto il pop che ascolto ogni giorno, dal rap all'elettronica».

E i versi in arabo?
«Sono schegge della mia infanzia, immagini forti che mi riportano alla mia storia, un richiamo in più alle mie origini».

Salvini dice che avrebbe preferito che vincesse Ultimo a rappresentare la canzone italiana. Maria Giovanna Maglie dice che «ha vinto Maometto».
«Io sono un ragazzo italiano al cento per cento, nato e cresciuto a Milano, nella periferia Sud di Gratosoglio e per questo felice anche dei complimenti del sindaco Sala, fiero di essere meneghino come delle sue radici sarde, e del dialetto di mia madre, che uso in casa. Non ne farei una questione politica».

«Soldi» è un j'accuse a tuo padre, egiziano. Che fine ha fatto?
«Non lo so, ma so che dedico questa vittoria a mia madre, alla sua claque arrivata da Orosei per sostenermi. Vado tutte le estati in Sardegna, nella casa dei miei nonni, ritrovo una famiglia numerosa: mia madre ha 11 o 12 fratelli, confondo sempre il numero, per non parlare dei cugini».

Altre dediche per questa vittoria inattesa?
«I miei discografici della Universal, il mio ospite della serata dei duetti Guè Pequeno, i miei coautori, Dardust e Charlie Charles».

Il primo è Dario Faini, producer e firma già per Emma, Fedez, Mengoni, Mannoia, Thegiornalisti. Il secondo è il re Mida della trap, il beatmaker dietro il successo di Sfera Ebbasta.
«Una bella squadra, davvero».

Che cosa farai adesso?
«Davvero non lo so, sono sconvolto, è stata una botta clamorosa anche per me».

L'1 marzo esce l'album «Gioventù bruciata».
«Non sarà facile gestire tutto questo, capire come andare avanti, avverto peso e responsabilità. Ma soprattutto gioia».

Davvero non c'è bisogno, almeno oggi, di chiedere a Alessandro Mahmood «come va come va come va».
Sappiamo già come gli va: al massimo. E sarebbe ingiusto che le polemiche politiche e sulla giurie, pur comprensibili, soffocassero una vittoria sofferta, ma meritata. «Soldi» era tra i brani migliori di questo Festival, dietro quelli di Silvestri e Zen Circus, certo, ma rispetto a «Argento vivo» e «L'amore è una dittatura», come anche ai brani di Ultimo e del Volo, ha un sound più contemporaneo, più sintonizzato con i gusti della giovane Italia. E in un Festival che ha rottamato la tradizione sanremese e con un podio under 30 un verdetto del genere era quello che ci voleva. Prima gli italiani? Si, prima gli italiani veri come Mahmood, come il romano Fabrizio Moro e l'albanese d'Italia Ermal Meta l'anno scorso. La canzone, si sa, è, mobile, registra i cambiamenti prima di molte altre cose.

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