Peppino Di Capri a Sanremo 2023: «Al festival dei giovani serve la vecchia guardia»

In un hotel di Bordighera l'incontro con i Maneskin: «Voi avete aperto un concerto dei Rolling Stones, io ho suonato prima dei Beatles»

Peppino Di Capri con Damiano dei Maneskin
Peppino Di Capri con Damiano dei Maneskin
di Federico Vacalebre
Giovedì 9 Febbraio 2023, 11:00
5 Minuti di Lettura

Giuseppe Faiella è il decano del Festival, quindici presenze in concorso (come Al Bano, Toto Cutugno, Milva e Anna Oxa) e due vittorie. A 83 anni, Peppino Di Capri, è di lui che stiamo parlando, questa sera sarà alla sua prima presenza da ospite. In programma un medley dei suoi successi: «Malatia», «Roberta», «Un grande amore e niente più», «E mo' e mo'», «Let's twist again», «Saint Tropez twist». Ieri ha incontrato Damiano David, ventiquattrenne frontman dei Maneskin, in un hotel di Bordighera: «Voi avete aperto un concerto dei Rolling Stones, ma io ho suonato prima dei Beatles», gli ha ricordato.

Allora Peppino, iniziamo dalla prima volta. Era il 1967, avevi 27 anni, eri già famoso e cantavi «Dedicato all'amore».
«Passò inosservata, non entrammo in finale: parlo al plurale perché doppiava la canzone Dionne Warwick: bravissima, solo dopo, però, ho capito davvero quanto fosse brava».

1971, «L'ultimo romantico».
«Era un brano, anche se non sfondò.

La dividevo con un altro grande, Pino Donaggio, poi diventato ancora più grande, come compositore di colonne sonore. Ricordo che presentava Carlo Giuffrè con una bellissima Elsa Martinelli».

1973, «Un grande amore e niente più».
«Arrivai da favorito, il testo di Franco Califano completava un pezzo sanremese doc. Dietro di me si piazzarono Peppino Gagliardi e Milva. Fu il primo Sanremo condotto da una donna, Gabriella Farinon, anche se le affidarono solo le prime due serate, l'ultima la condusse Mike Bongiorno».

1976, «Non lo faccio più» di Depsa, Jodice e Berlincioni, vittoria bis con un testo più disinibito del solito: «e lo scialle della mamma guarda un po' che fine fa», utilizzato per un strip-tease doc.
«La canzone si rinnovava, i giovani votavano, c'era vento di novità. Sarà stato un caso, ma fu l'ultima edizione al teatrino del casinò: dall'anno successivo si trasferirono all'Ariston. Fu anche l'ultima edizione in bianco e nero. Peraltro in tv andò solo la serata finale, che sforò l'orario stabilito e fu tagliata. Che avevo vinto io lo annunciarono al tg».

1980, «Tu cioè...».
«Non proprio memorabile, su testo del solito Depsa. Fu l'anno di Benigni, che chiamò Wojtylaccio il Papa e Cossigaccio il presidente del consiglio».

1985, «E mo' e mo'», la prima volta in napoletano
«Vinsero i Ricchi e Poveri, le ragazzine impazzivano per i Duran Duran e arrivai nono. Solo io, Salvatore De Pasquale, sempre lui, e Franco Fasano credevamo nel brano: "non ti capiranno", sentenziarono. Ma avevano torto».

1987, «Il sognatore».
«È il brano a cui sono più affezionato, che meglio mi definisce. Toto Cutugno, che pure aveva pensato di portarlo in gara lui, e Depsa mi avevano regalato un titolo perfetto per me, per chi fa il mio mestiere. Quinto posto ed ancora in repertorio

1988, «Nun chiagnere».
«Non sempre il dialetto è vincente, e, poi, quello era il Festival di "Perdere l'amore", Massimo Ranieri non aveva rivali. Arrivai diciassettesimo».

1989, «Il mio pianoforte».
«Un inno al mio strumento, ma poco altro da dichiarare. Undicesimo posto: dietro di me, tra l'altro, Marisa Laurito, Gino Paoli, persino il maestro di tutti noi Renato Carosone, Enzo Jannacci, Tullio De Piscopo, Eduardo De Crescenzo, il mio amico Fred Bongusto».

1990, «Evviva Maria».
«Ancora un pezzo forte nelle scalette dei miei concerti, una lambada, che Kid Creole, accompagnato dalle sensualissime Coconuts, propose in inglese».

1992, «Favola blues», con Pietra Montecorvino.
«Quattordicesimi, ma mi prendo il merito di aver mostrato a milioni di italiani il talento di Pietra».

1993, «La voce delle stelle».
«Rendevo omaggio a Elvis Presley, a John Lennon, a Freddie Mercury, ma andò male, proprio male».

1995, «Ma che ne sai... (se non hai fatto il piano-bar)» con il Trio Melody.
«Idea e pezzo di Claudio Mattone, che mi mise in mezzo tra Gigi Proietti e Stefano Palatresi. Arrivammo tredicesimi, ma resta un inno per tutti i professionisti del pianobar. E, poi, c'era Gigi, quante risate in quelle notti».

2001, «Pioverà (habibi ane)», un brano atipico nella tua produzione, quasi politico.
«In qualche modo sì, parlava di migranti, dramma allora forse non avvertito come adesso. Tra gli autori, mi piace ricordarlo, c'era Franco Del Prete, già con gli Showmen, i Napoli Centrale...».

2005, «La panchina».
«A suo modo un pezzo politico anche questo, sulla terza età».

E siamo a quindici. Poi basta? Non hai mai provato a tornare?
«Sì, ci ho provato, qualche volta però non avevo la canzone giusta, qualche volta credevo che fosse giusta ma non piaceva al direttore artistico di turno. E, poi, bisognava ringiovanire la canzone italiana, missione sacrosanta, che però non dovrebbe dire rottamare chi l'ha rappresentata al meglio, anche all'estero, per decenni. Amadeus questo l'ha capito. Scopre i giovani, ma mette in gara i Cugini di Campagna e rende onore e gloria ai Pooh, a Ranieri, a Morandi, a Al Bano, alla Vanoni, a Paoli».

Vecchie glorie?
«No, al massimo vecchia guardia». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA