Aida al Teatro San Carlo, marcia trionfale con Anna Netrebko superstar

Aida al Teatro San Carlo, marcia trionfale con Anna Netrebko superstar
di Stefano Valanzuolo
Mercoledì 16 Febbraio 2022, 11:00
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Più trionfale della marcia nel secondo atto, l'accoglienza riservata dal pubblico alla «Aida» di ieri al San Carlo resta significativa e corroborante, al di là del fatto che fosse attesa. Ad innescare applausi calorosi e grida di giubilo è soprattutto Anna Netrebko, finalmente accolta tra le mura del teatro. Il che fa la differenza poiché uno strumento come il suo è troppo speciale perché lo sciupino vento e microfoni. Voce sontuosa, quella della protagonista, non solo per l'importanza dei volumi cui accede - per altro - con disinvoltura disarmante, ma anche per la luminosità avvolgente degli esiti, magari meno accecante rispetto a qualche anno fa ed ancor più interessante. Il personaggio di Aida ricava profondità da un approccio maturo e ricco: «Oh patria mia», nel terzo atto, possiede una limpidezza fuori standard che rende tanto più prodigioso lo sfoggio, per esempio nel primo atto, anche di un registro grave pienamente compiuto ed espressivo. I filati sono gestiti con straordinario controllo dell'emissione, gli armonici sono caldi e generosi, la presenza scenica, infine, carismatica al di là dell'enfasi da primadonna. Insomma, un bel vedere e un bel sentire.

Al suo fianco, il Radames di Yusif Eyvazov non sfigura: la voce del tenore azero è sicuramente meno suadente di quella della sua compagna di scena e di vita, ma lo squillo è reso con generosa prestanza che si addice al personaggio.

La naturale teatralità di una voce ricca e talora tendente al vibrato, non bella per timbro ma supportata da consapevolezza dei mezzi, viene sfruttata senza eccessi compiaciuti, così da modellare un Radames preciso, pertinente sul piano musicale ad onta della gestualità non sempre coinvolgente. 

Ekaterina Gubanova ha un'eleganza nel porgere la frase e nel muoversi in scena tali da rendere giustizia al rango regale di Amneris, superando lo stereotipo della ragazza gelosa e irascibile. La voce non è grande ma molto educata e fornita di varie sfumature, giustamente musicale: nei momenti d'assieme la sua presenza si percepisce più pallida, ma «Io l'amo, l'amo sempre» viene fuori garbata e inappuntabile. Su Franco Vassallo, nei panni di Amonasro, e Riccardo Zanellato, in quelli di Ramfis, le osservazioni rimandano ad un senso di confortante affidabilità: i loro personaggi risultano caratterizzati nitidamente, il fraseggio in entrambi i casi ben curato e la tinta vocale, pur nelle ovvie diversità dei ruoli, colpisce per omogeneità, specialmente in Vassallo.

Con mossa felice della penultima ora, il San Carlo ha preferito non rimettere in scena la «Aida» bruttina di Dragone, pure di proprietà, per ripescare un allestimento storico, quello con regia di Mauro Bolognini (ripresa con filologica premura da Bepi Morassi) e scene di Mario Ceroli che, nel 1978, segnò tra l'altro il debutto teatrale del giovane Sinopoli. Lo spettacolo, inevitabilmente, può apparire datato; non nella componente scenica la cui intelligente bellezza s'impone ancora oggi, ma nella gestione di spazi e movimenti, ispirata per scelta o per forza ad una sostanziale staticità, quasi da bassorilievo egizio. Non siamo certi, tuttavia, che la discrepanza all'occhio tra contenitore e contenuto non fosse tale (e percepita) già quarant'anni fa. La lettura antepone il taglio intimistico di «Aida», caro a Verdi, a quello roboante da kolossal e proietta caratteri e situazioni entro spazi articolati su più livelli spaziali e narrativi, quasi a rendere simbolica e connotante la struttura dell'atto finale. Le sculture di Ceroli sono riferimenti che sfiorano l'astrazione, richiami allusivi lontani dall'esotismo facile di altre «Aida», ma compongono un racconto bello e possibile. I colori sono caldi e sabbiosi: li valorizza il disegno luci di Fabio Barettin, mentre i costumi di Aldo Buti, da cartolina, vi si intonano con grazia efficace. A movimentare l'azione concorrono le coreografie di Giovanni Di Cicco, funzionali al racconto, old fashion senza troppe pretese. 

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L'orchestra trascorre un'altra serata senza affanni e senza gloria speciale. Come per «Lucia di Lammermoor» e «Sonnambula» (tre indizi fanno una prova), non è sulla direzione d'orchestra che punta lo spettacolo. Michelangelo Mazza, per la prima volta sul podio napoletano, assolve al compito diligentemente, staccando tempi che ai cantanti concedono spazi di comoda evidenza e adottando dinamiche plausibili, al riparo da guizzi e rinunciando a inseguire finezze sinfoniche che pure questa partitura e questo ensemble saprebbero concedersi. Peccato. Ma il meccanismo verdiano è troppo perfetto per ammettere cadute di tono e l'orchestra sancarliana troppo esperta per non consegnare all'ascolto un compito ben fatto. Cresce il coro, sotto le cure di José Luis Basso, e merita applausi nei finali. Tutto il resto, come già detto, è gloria.

«Questa produzione», ha dichiarato il sindaco Manfredi, «rappresenta la conferma del programma di qualità internazionale messo in campo dal teatro». Un anziano signore, invece, prima che iniziasse l'opera, ha gridato: «Vergogna! Non si tolgono fondi al San Carlo». Tutti e due si riferivano al governatore De Luca. 

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