«In scena senza stipendio», dalla Brilli a Gassmann la vita grama degli attori

«In scena senza stipendio», dalla Brilli a Gassmann la vita grama degli attori
di Luciano Giannini
Mercoledì 22 Gennaio 2020, 07:00
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«Un attore di teatro con più di 30 anni di carriera oggi guadagna 250 euro lordi al giorno, con cui paga vitto e alloggio. Con l'arte non si mangia», tuonò Alessandro Gassmann, su Twitter, nel 2014. L'anno dopo nacque Facciamolaconta - Attrici e attori per i diritti, «un gruppo che ha lo scopo di presentare alle istituzioni richieste di tutela per la professione e il riconoscimento della centralità dell'attore nel teatro di prosa». Quest'arte non morirà mai ma, si sa, deve scontrarsi con la realtà del Paese in cui opera. Ieri lo ha ricordato Nancy Brilli. In questi giorni allo Stabile di Verona con «A che servono gli uomini», di Iaia Fiastri, regia della Wertmuller, Primoatto Produzioni, l'attrice si è sfogata così: «Capita anche ai lavoratori dello spettacolo di non essere pagati o di non esserlo in tempo. Mi dispiace e mi fa inferocire vedere un tecnico, un attore, un padre o una madre di famiglia costretti a umiliarsi ripetutamente per chiedere quanto si è guadagnato lavorando seriamente e con fatica». Insomma, «stiamo andando in scena senza paga. Dovevo dirvelo. Che vergogna». La denuncia di Nancy segue di poco quella che alcuni attori della «Grande magia» di Eduardo De Filippo, prodotta dallo Stabile - Teatro Nazionale di Napoli, fecero il 19 dicembre scorso al termine di una replica romana all'Argentina. Nel comunicato che lessero alla platea accusavano il teatro pubblico napoletano di essere insolvente: «Non siamo giullari, ci fermiamo qui». Di quella compagnia facevano parte Nando Paone e Claudio Di Palma, nei ruoli principali: «In realtà - spiegano ora - eravamo d'accordo sulla sostanza, non sulla forma. Gli altri avrebbero potuto distribuire volantini, prima o dopo la recita, per esempio. Invece, senza avvisarci, decisero per il comunicato, mettendoci in evidente imbarazzo. Per giunta, scoprimmo, subito dopo, che il direttore amministrativo quella sera era in sala per comunicarci l'avvenuto pagamento. Il ritardo c'è stato, ma di una decina di giorni». Paone: «Il problema, comunque, esiste ed è antico. E riguarda anche i privati. C'è un produttore che mi deve ancora una cifra consistente... e sono passati quasi due anni».

Di Palma: «Purtroppo, gli attori appartengono a una categoria che non riesce ad avere un vero spirito sindacale. Chi lavora, che so, a Genova non sa quel che accade al collega di Napoli. Gli attori sono gli ultimi anelli di una catena che parte dalle istituzioni, perché il teatro non si regge da solo sulle proprie gambe. Se il danaro pubblico arriva in ritardo, ne risentono le sale, i produttori e, via via, tutti gli altri. Questa verità è nota. Tutti noi, quasi sempre, reagiamo con pazienza e sano realismo; a volte con rassegnazione, altre con l'irritazione del momento».

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Quali cause inceppano il meccanismo, almeno per quanto riguarda i teatri pubblici? Luca De Fusco, fino a dicembre scorso direttore dello Stabile di Napoli, sintetizza la situazione: «Dai tempi di Molière i teatri non vivono dei soli incassi, ma soprattutto di fondi pubblici. Perciò Molière si preoccupava del successo delle sue commedie a corte. Purtroppo, rispetto da altre regioni, il sistema politico campano vive in costante precarietà. Il Comune di Napoli, socio dello Stabile con Regione e Città metropolitana, è quasi in dissesto e paga con grave ritardo. La Regione sta appena meglio, ma la rendicontazione dei fondi europei - preziosi, intendiamoci - pretende una efficienza e una meticolosità che acuiscono il problema... E la Campania è molto più avanti rispetto ad altre regioni del Sud, che ancora non hanno capito la loro importanza vitale». In questo modo - aggiunge De Fusco - «il pagatore diventa cattivo pagatore, ma non per colpa sua. La trasparenza cui è soggetto fa escludere, ovviamente, il tornaconto personale di qualcuno». E lo Stato? «Fa la sua parte. Al Sud, a volte, dà più soldi che al Nord, ma la puntualità assoluta che ha nei pagamenti si scontra, alla fine, con la burocrazia dei fondi europei e le labili finanze degli enti locali meridionali. Quando ero direttore allo Stabile del Veneto, Regione e Comune pagavamo alle scadenze previste. Sempre. A Napoli questo non avviene. Il meccanismo si inceppa e produce un altro problema: ben conoscendolo, molte compagnie non chiedono neppure di venire a recitare a Napoli». Già sanno che saranno pagate, come si dice, a babbo morto. 
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