Lello Arena: «Aspettando Godot come San Gennaro»

«È un'edizione pop di Aspettando Godot, un po' per statuto, un po' per formazione, molto comprensibile, vicina allo spettatore»

Lello Arena in scena
Lello Arena in scena
di Luciano Giannini
Giovedì 2 Febbraio 2023, 12:00
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Beckett in salsa napoletana? è possibile. Una cultura tanto antica, ricca e multiforme, può consentirsi questo lusso. «Perché non è importante che il signor Gòdot arrivi o non arrivi, ma quel che possiamo fare durante l'attesa». In questa frase Lello Arena sintetizza il senso di «Aspettando Godot», diretto da Massimo Andrei, che da stasera a domenica sarà in scena al Cilea. Al fianco dell'attore sono lo stesso Andrei, oltre a Vincenzo Leto, Elisabetta Romano, Esmeraldo Napodano, Angelo Pepe, Carmine Bassolillo. 

Innanzitutto, parliamo di accenti, primo punto di contatto tra Beckett e Napoli.

Arena: «Lui voleva si pronunciasse Gòdot, e che la t fosse sonora; dunque diversamente dalla pronuncia francese, la lingua in cui scrisse quel che è diventato il manifesto del teatro dell'assurdo; anche se, poi, rifiutava accostamenti tra il suo personaggio, che tutti attenderemo invano fino alla fine dei tempi, e il significato della parola God, Dio. Ora, però, anche a Napoli, diciamo hòtel invece di hotèl, piazza Càvour invece di piazza Cavoùr. Ci siamo».

Ma non è tutto: «Aggiungete alla salsa napoletana il fatto che Beckett più volte lavorò con Buster Keaton e che, per Finale di partita, pensò di chiamare Stan Laurel e Oliver Hardy, Stanlio & Ollio, insomma, anche se il progetto non si concretò». Arena vuol dire che la dimensione dei comedians, e dei comici, non stona in questo contesto. Anzi, il contrario: «E noi tutti, in scena, lo siamo. Per vocazione. Attenti: parliamo in italiano, usando la traduzione che ne fece Lunari, ma la gestualità, la cadenza, il modo di essere, quelli no, quelli sono interamente, genuinamente napoletani». 

Per l'operazione Beckett in salsa partenopea Andrei e Arena si sono riferiti all'allestimento che l'autore curò personalmente, fin nei più intimi dettagli, nel 1975 a Berlino, dove rivide profondamente anche il testo. Ma, forse, la vicinanza maggiore tra il Nobel irlandese e le plaghe di Partenope risiede proprio nel significato da dare all'attesa di Gòdot. Arena: «Anche noi siamo avvezzi ad attendere. Da secoli e secoli il napoletano aspetta che San Gennaro faccia il miracolo; che il Vesuvio prima o poi esploda; che ritorni il terremoto; che un dittatore-invasore muoia o sia cacciato dal successivo. E l'attesa, ovviamente, si fonde con la paura. Questa città sa molto bene che il tempo ha valore relativo. Per fronteggiare quei tragici timori, è abituata a non prendere sul serio la vita di ogni giorno; di trattarla con una necessaria leggerezza».

Con questi ingredienti, quale allestimento prende vita? Lello: «Una edizione pop di Aspettando Godot, un po' per statuto, un po' per formazione, molto comprensibile, vicina allo spettatore, che si diverte, si emoziona, si stupisce e finisce per ritrovarsi sulla stessa strada di Vladimiro, Estragone & company, una terra abbandonata, dove si notano un traliccio dell'alta tensione, una colonna che regge una piccola cappellina con una croce; e dove la cadenza e la gestualità partenopee lasciano intendere ci si trovi alle pendici di un Vesuvio che, però, non si vede. Il pubblico ci ripete che, dopo un po', la platea diventa l'estensione di quel paesaggio. Nulla più c'è di assurdo, incomprensibile, distante. La gente si diverte, ride, e gioca con i personaggi sul palcoscenico». 

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E qui torniamo alla battuta iniziale di Arena: «Non è importante che il signor Gòdot arrivi o non arrivi, ma quel che possiamo fare durante l'attesa. Voglio dire che il desiderio di prendere seriamente il messaggio di Beckett è salvo, ma questa atroce attesa, del niente, o di una tragedia imminente, può suscitare un altro desiderio: quello di renderla meno opprimente, con una risata, un gioco, uno scherzo. E in questo momento storico, ne abbiamo tanto bisogno». 

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