Chiara Muti al teatro San Carlo di Napoli: «La bellezza di Mozart per dire no alla guerra»

Chiara Muti al teatro San Carlo di Napoli: «La bellezza di Mozart per dire no alla guerra»
di Donatella Longobardi
Martedì 22 Marzo 2022, 11:00
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«In questo teatro mi sento come a casa, mi hanno accolto tutti con calore, dal barista alla direttrice della sartoria, è un piacere lavorare con loro, ritrovare la luce e il sole del Mediterraneo, assistere allo sbocciare della primavera...». Nelle ultime settimane Chiara Muti è stata a Napoli, al San Carlo, per riprendere la sua regia del «Così fan tutte», il capolavoro di Mozart che il teatro ripropone da domani (ore 20) per sei recite fino al 2 aprile. L'allestimento è lo stesso del 2018 coprodotto con la Wiener Staatsoper e ripreso l'anno scorso in streaming al Regio di Torino con le scene di Leila Fteita e i bei costumi di Alessandro Lai. A dirigere coro e orchestra sancarliani Dan Ettinger, dall'1 gennaio 2023 nuovo direttore musicale, qui alla sua prima opera «vera» nella sala del Niccolini dopo una «Carmen» in forma di concerto a piazza Plebiscito. Nel cast, la Fiordiligi di Mariangela Sicilia, la Dorabella di Serena Malfi, il Guglielmo di Alessio Arduini, il tenore russo Maxim Mironov come Ferrando, Damiana Mizzi come Despina. Unica conferma dalla prima edizione, il Don Alfonso di Paolo Bordogna.

E se al debutto sul podio c'era papà Riccardo, ora a rappresentare la famiglia Muti è attesa in platea mamma Cristina, presidente onorario del «Ravenna festival» col quale venerdì partirà per la Polonia come testimonial di una iniziativa in aiuto dei musicisti del Teatro dell'Opera di Kiev, stremati dal conflitto in Ucraina.

Gli stessi che nel 2018 avevano preso parte a uno dei «Concerti dell'amicizia» promossi dalla rassegna romagnola. In questo contesto, anche la regista non nasconde il suo stato d'animo: «Ci sentiamo dei privilegiati», dice, «a ricomporre l'opera di Mozart in un teatro che è il regno della bellezza mentre fuori ci coglie l'orrore del mondo e della guerra». 

 

E come si prepara al nuovo debutto, signora Muti?
«Beh, sembra strano fare questo lavoro in questo momento storico così complesso. Io vivo a Parigi, ho passato i giorni del terrorismo, poi il Covid, adesso la guerra... ma forse proprio ora il teatro è una ragione in più per aggrapparsi in cerca di bellezza e di cultura».

Parliamo di Mozart allora?
«Con Ettinger abbiamo reimpostato tutto il lavoro, lui è abituato ad accompagnare i recitativi e lo farà col fortepiano, l'impatto sarà diverso. È la sua impostazione artistica e quindi un po' cambierà l'andamento dello spettacolo, ricco di dinamismi e colori, molto legato alla natura teatrale del libretto italiano di Lorenzo Da Ponte ambientato a Napoli, o meglio alle pendici del Vesuvio».

Una Napoli evocata.
«Già, non ho voluto una Napoli da cartolina. Ma nella scatola scenica ci sono i colori, le luci del Sud, il riflesso del mare, il calore della terra. C'è la Napoli nobile d'animo, molto illuminista, che fa da sfondo a una sorta di percorso iniziatico che ricorda quello del Flauto magico».

Il gioco delle parti comunque è quello: un uomo anziano che spinge due amanti a misurare la fedeltà delle fidanzate, due coppie che si scambiano i partner, la disillusione finale...
«Ed è chiaro che la parte registica è la stessa, Così fan tutte resta il dramma giocoso del disincanto. In quest'opera l'illusione è più reale della realtà stessa. Amiamo veramente o per gioco? Nel finale, quando le coppie si ricompongono è tutto come prima? O nulla è più come prima?».

Lei cosa ne dice?
«Il mio finale è struggente e malinconico. E, in questo, ho trovato in Ettinger un meraviglioso compagno di viaggio. I nostri protagonisti perdono il candore dell'innocenza, l'ideale di una vita e di un amore puro. È l'addio alle certezze della giovinezza, si sgretola tutto anche se fingiamo che tutto vada bene. Come nel finale delle Nozze di Figaro in cui la Contessa perdona il marito ben sapendo che il giorno dopo avrebbe ricominciato daccapo a tradirla. Cantano: E tra i casi e la tempesta, bella calma troverà. Anche qui c'è la forza della musica di Mozart».

Lei ha lavorato con un cast quasi tutto nuovo, cosa ha significato?
«Ha significato dover impostare daccapo il lavoro, quasi come una nuova prima. Abbiamo però un Don Alfonso rodato, Paolo Bordogna, che resta il perno dell'azione. Una sorta di maschera pulcinellesca, un cicerone che prende per mano le due coppie e le traghetta sull'altra sponda, verso la maturità della vita».

Ma come nascono le sue regie?
«Riporto in scena le mie esperienze alla scuola di Strehler, quando da ragazza assistevo alle prove del regista con mio padre alla Piccola Scala. Passavo ore e ore a cercare di comprendere quei minimi cambiamenti, volevo assorbire la lezione, capire i motivi delle scelte. Da allora ho imparato l'opera a memoria. Mi serve per lasciarmi andare alle emozioni, ancora di più in un teatro meraviglioso come il San Carlo in un momento in cui il mondo sembra sfuggirci di mano e in cui Mozart coi suoi capolavori ci riporta ai temi più profondi dell'esistenza umana. Elementi di grande attualità in cui tutti gridano pace, ma la pace non arriva...».

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