Enzo Moscato torna in scena: «Per me fare teatro è una libidine violenta»

«L'unico senso possibile è il non senso, il non significato»

Enzo Moscato in scena
Enzo Moscato in scena
di Luciano Giannini
Sabato 12 Novembre 2022, 12:00
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«L'unico senso possibile è il non senso, il non significato, in questi tempi nei quali la comunicazione e, dunque, il rapporto con gli altri lo ha smarrito». Sull'onda di questa constatazione, Enzo Moscato torna in scena con «Libidine violenta», al debutto assoluto martedì al San Ferdinando. Con lui saranno sei attori, Luciano Dell'Aglio, Tonia Filomena, Domenico Ingenito, Anita Mosca, Giuseppe Affinito e Emilio Massa. La produzione vede insieme Teatro di Napoli - Teatro nazionale, Casa del Contemporaneo e Metastasio di Prato.

Fu proprio il suo direttore, Massimiliano Civica, l'anno scorso, a voler incontrare Moscato per dargli ampia libertà di scegliere un suo testo, che avrebbe coprodotto.

Ed Enzo pensò a «Libidine violenta», che scrisse nei primi anni 90 e che gli fu già d'ispirazione per la stesura di «Recidiva», parte di quella «Quadrilogia di Sant'Arcangelo» poi presentata al festival diretto da Leo de Berardinis.

Oggi, quasi 30 anni dopo, egli è tornato a quel lontano e inedito monologo, trasformandolo in copione con sette personaggi: «Come drammaturgo, mi sono sempre lasciato andare a contrazioni (monologhi) e dilatazioni (testi con più personaggi); ma più vado avanti, più sento il teatro come azione collettiva», esordisce Enzo all'incontro sullo spettacolo, nel prezioso foyer della sala di Eduardo. «In realtà - aggiunge - gioco con i doppi, i tripli. Mi moltiplico». E chi si moltiplica è Reci, la stessa creatura di «Recidiva», che già giocava con la pluralità: «In una scenografia essenziale, divisa in due piani verticali, non luogo fisico ma spazio della mente (e dell'inconscio) io, Reci, sto sopra; giù restano gli altri, le mie proiezioni oniriche, Baby-Reci 1, 2 e 3, oltre a Josephine, Joceline e a Dolores» (già presenti in «Recidiva»). E Giuseppe Affinito aggiunge: «Noi esplodiamo in scena, partoriti dalla mente di Reci». Ma chi è Reci in «Libidine violenta»? «Un'eccentrica scrittrice, o una vecchia cantante fuori moda, di ambigua identità sessuale, che dichiara di volersi uccidere perché non riesce a redigere le proprie memorie. Dalle sue tormentate fantasie sgorgano visioni, ricordi, evocazioni, balletti improbabili e schizofreniche telefonate». E sgorgano motivi canticchiati: in «Recidiva» era «Cerasella»; qui «una vecchia canzone napoletana, A vesticciolla», precisa Moscato. 

Quanto al titolo, non ha nulla da spartire col sesso: «La libidine violenta è soltanto quella che da 40 anni mi spinge a scrivere teatro e a stare su un palcoscenico». Chiarito il dettaglio, si tratta ora di farlo con gli aerei contorni di uno spettacolo che sfugge a etichette, se non l'omaggio a Copi, artista molto amato e citato da Enzo, anche in questa sua opera (così come in «Recidiva»). E qui torna l'interrogativo sul senso da dare allo spettacolo, che non può essere dato: «Ci troviamo in un'atmosfera paradossale, autoironica, caotica, sbrindellata, frantumata, allucinata, dove la logica non ha cittadinanza, e le parole e i giochi di parole hanno il sopravvento. Sì, è il mondo di Copi, che mi seduce da sempre, forse per la sua vicenda esistenziale, la morte per Aids». 

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E, dunque, il senso? Moscato: «Lo lascio al pubblico. Il senso è il non senso. D'altra parte, chi mi conosce lo sa, io faccio ciò che devo. Le storie mi nascono dentro, mi catturano e mi costringono a scriverle. E, poi, non amo il teatro rassicurante e referenziale; e rifiuto lo spettatore passivo, che non si impegna in alcuno sforzo per tentare di delucidare quel senso o che è incapace di abbandonarsi alla sua mancanza. Ma, mi domando, che cosa è stato fatto finora per formare un pubblico evoluto, per educarlo ai nuovi linguaggi, a un teatro d'inquietudine e non di consolazione?». 

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