Nino Frassica al teatro Cilea di Napoli: «Far ridere è diventata la mia droga»

«Facendo ridere si vede la vita dal lato migliore, si rimandano il dispiacere e il dolore a un dopo indefinito»

Nino Frassica al teatro Cilea di Napoli: «Far ridere è diventata la mia droga»
Nino Frassica al teatro Cilea di Napoli: «Far ridere è diventata la mia droga»
di Luciano Giannini
Giovedì 12 Gennaio 2023, 12:00
4 Minuti di Lettura

«Sa come conquistai Renzo Arbore? Lo feci ridere. Mi procurai il numero e cominciai a chiamarlo. In segreteria, però, non gli lasciavo il nome, ma una battuta... che so... buongiorno, sono un mio ammiratore. Attenzione, al mio tre, stacco... uno, due, tre. E riattaccavo. Alla fine, fu lui che mi telefonò». Nino Frassica è uguale a se stesso in scena e fuori; ha senso pratico, pochi fronzoli, è artista del cazzeggio stralunato e «showgirl» (lo dice lui) dell'iperbole, del non senso, del gioco di parola. L'ultima sua trovata è il concerto-cabaret. «Nino Frassica & Los Plaggers band show tour 2000-3000» (ecco l'iperbole) sarà stasera e sabato al teatro Cilea; con lui, i Los Plaggers, armati di piano, tastiera, chitarra, sax, basso e batteria. 

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Plaggers, Frassica?
«Eh! Plaggers! Una cosa a metà strada tra Platters e plagio».

Repertorio?
«Di tutto e di più, Cacao meravigliao e Viva la mamma, Grazie dei fiori bis, il Tuca-Tuca e Tammurriata nera, ma alla nostra maniera».

Cioè, come?
«Mah...

Viva la mamma diventa Viva la mamma col pomodoro, Siamo donne finisce con Donna a Surriento, Campagna si trasforma in Voglio andare a vivere coi Cugini di campagna... Questo show è una festa, i musicisti sono bravi, io non sono Vasco, ma canto...».

E non solo.
«Gioco con parole e musica. Chiacchiero, improvviso, dico battute, coinvolgo il pubblico. A un certo punto faccio uno sketchone con la mia spalla, Francesco Scali, amico e partner storico... dove fingo dei provini per nuovi cantanti; ho bisogno di lui perché, nella coppia comica, io sono lo schiaffo e lui la guancia. Perciò amo Totò».

Che cosa le piace?
«Il suo atteggiamento, l'arroganza cattiva nel rapporto con l'altro».

Altri artisti che l'hanno ispirata?
«Il Pappagone di Peppino De Filippo, la banda di Alto gradimento; Cochi e Renato».

Come mai questa scelta canora? Da bambino lei voleva fare il cantante o cosa?
«No, il batterista. Ma già allora avevo voglia di scherzare. Quando scoprii che aprivo bocca, dicevo qualcuna delle mie e facevo ridere, non ho capito più niente».

Spieghi.
«Far ridere è diventata una droga. Più degli applausi».

Perché?
«Che domanda! Perché mi diverte, fa stare bene me e gli altri che mi ascoltano».

In sintesi, la sua filosofia.
«Facendo ridere si vede la vita dal lato migliore, si rimandano il dispiacere e il dolore a un dopo indefinito. Non è vigliaccheria, ma delego l'impegno a chi è del mestiere. Non faccio lo struzzo. Scelgo il disimpegno e la leggerezza per umiltà».

La discoteca Golden Gate di Messina fu la sua palestra, è esatto?
«Esatto. Alle superiori - studiavo ragioneria - già organizzavo spettacoli. Ero rumoroso, avevo manie esibizionistiche, ma non pensavo a una carriera nel mondo dello spettacolo. Volevo solo vivere come sapevo vivere».

E la discoteca?
«La gestivo assieme a degli amici. Durante la serata, prendevo il microfono per annunciare... che so... il concorso per una miss, un evento speciale, ricchi premi e cotillons... mi impossessavo del microfono e non lo lasciavo più. Improvvisavo un mini-cabaret. E tutti ridevano».

Tra i suoi tanti personaggi, chi le è più caro?
«No, no. Il personaggio è sempre uno. Sono io che faccio, alla mia maniera, quel che mi capita, col mio stile. Resto me stesso. Il vestito cambia, l'anima no».

Chi è più simpatico, Fazio o Don Matteo?
«Tutte e due».

Progetti?
«Don Matteo 14»

Napoli?
«Ci vivrei. Ho trascorso 9 mesi, ai tempi di Grazie mille, alla Rai di Fuorigrotta e mi sono affezionato. Mi piace: gente libera, vera, sincera, con tutti i suoi difetti. E, poi, che dire? Napoli è Napoli, come Totò». 

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