“Gaetano, favola anarchica”: applausi al Tram per la storia di Bresci

“Gaetano, favola anarchica”: applausi al Tram per la storia di Bresci
di Giovanni Chianelli
Lunedì 17 Gennaio 2022, 13:35 - Ultimo agg. 15:34
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Una grande interpretazione. Un testo asciutto ma efficace. Una regia pulita, musiche – tra cui il brano principale, ipnotico – indovinate. Funziona tutto, in “Gaetano, favola anarchica”, andato in scena la settimana scorsa al Tram di Port’Alba per la regia di Riccardo Pisani che firma anche la drammaturgia. La storia di Bresci, l’anarchico che uccise il re, è sviluppata come un flusso di autocoscienza dal bravo Nello Provenzano, capace di dare spessore al personaggio e al racconto anche in silenzio, con una mimica precisa e potente, che si intreccia al racconto breve di Gianni Rodari “A toccare il naso del re”: un gioco di bambini che diventa metafora della ribellione al potere del tiranno di turno, dal poliziotto al sovrano, messo alla stessa distanza, la stessa altezza, dell'uomo comune.

La storia di Bresci è nota.

Il testo, sulle note originali composte da Lenny Pacelli, la sviluppa dall’infanzia all’apice, quella sera del 29 luglio del 1900 in cui l’anarchico intese vendicare la strage di 80 manifestanti eseguita due anni prima dal generale Bava Beccaris su volere di Umberto I. «L’ho fatto per te» dice l’attore più volte, guardando il pubblico, e ogni “l’ho fatto per te” sembra includere l’umanità tutta, il bracciante di ieri come il runner di oggi, l’operaio e il precario, l’umile, il dimenticato dalla storia. «Non ho ucciso Umberto. Ho ucciso il re», ricorda Gaetano.

In scena (foto di Amanda Annucci) Provenzano, assecondando la formazione del personaggio di operaio tessile, ordisce una tela: si scopre alla fine che sono le ali di Icaro, il mito di cui aveva letto da piccolo, l’uomo che volle sfidare il sole e con questo le leggi immutabili della natura e della storia. Dialoga con un alter ego muto, un burattino collodiano e nudo, che poi veste delle ali confezionate mentre prepara le sue; sinistramente ricordano gli strani costumi dei soldati iracheni messi alla berlina dai militari statunitensi dopo la seconda guerra del Golfo. E saranno, prima della chiusura, anche simili alle corde a cui Bresci si impiccò in carcere pochi mesi dopo il regicidio, in circostanze oscure; quando «fu suicidato», dice il testo.

Spunti, evocazioni, richiami. La drammaturgia è fatta anche di cenni sobri, eppure eloquenti. Il finale è travolgente: Provenzano anima il pubblico ministero incaricato di condannare Bresci e indossa una maschera da maiale, grugnante e delirante nei suoi continui “perché è colpevole!” in un crescendo tragicomico e contagioso, nonché filologico perché alcuni dei passaggi sono presi dai verbali del processo. Scrive il regista: «Al mondo ci sono idee e valori che non muoiono con la carne e il nostro lavoro vuole essere un inno a chi li tramanda, offrendo la propria esperienza e la propria essenza rivoluzionaria a chi verrà dopo di lui. Gaetano sceglie di sacrificarsi per tutti noi, affinché ognuno possa finalmente saltare sulla carrozza del proprio Re, tirargli il naso senza dargli un attimo di tregua».

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