Gigi Proietti, rifugiato poetico tra i sonetti e gli sberleffi

Gigi Proietti, rifugiato poetico tra i sonetti e gli sberleffi
Gigi Proietti, rifugiato poetico tra i sonetti e gli sberleffi
di Titta Fiore
Sabato 17 Aprile 2021, 10:19 - Ultimo agg. 17:32
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Gigi Proietti stava scrivendo un romanzo e l'aveva intitolato 'Ndo cojo cojo, come a dire che nel suo immenso repertorio si andava a colpo sicuro. La moglie Sagitta Alter e le figlie Carlotta e Susanna lo hanno ritrovato tra i tanti fogli che l'attore e regista amatissimo, scomparso lo scorso 2 novembre, nel giorno dell'ottantesimo compleanno, disseminava ovunque: sonetti, appunti, riflessioni, versi sciolti e disegni, piccole caricature schizzate spesso mentre era al telefono. Ora quell'incipit romanzesco, con quattro amici al Bar Ciofeca («Erimo stanchi e non s'erimo manco lavati quel giorno»), la cassiera tettona dagli strani traffici e il barbieretto con «la manina delicata», assieme a un'importante selezione di un corpus di «sonetti e sberleffi fuori da ogni regola», sono diventati un libro edito da Rizzoli (pagine 228, 17.50 euro) dallo stesso titolo, 'Ndo cojo cojo, in libreria da martedì 20 aprile, arricchito dalle caricature del grande autore e dai disegni di Susanna, cui il padre aveva chiesto di dare un volto ai personaggi del romanzo.

Racconta Carlotta: «Ci siamo trovate tra le mani con grande emozione questo scritto incompiuto, chiedendoci se fosse giusto pubblicarlo senza la sua revisione, se gli avrebbe fatto piacere. Alla fine ci è sembrato doveroso condividerlo con il suo pubblico. Non ci aspettavamo che venisse fuori tanto materiale, è stato come fare una caccia al tesoro, capitanata da mamma Sagitta, curatrice del libro in ogni dettaglio».

Circa ottanta sonetti scritti tra il 1997 e il 2020, molti per «Il Messaggero», assieme a una quindicina di poesie e alcune riflessioni sui temi che gli erano più cari: Roma, innanzitutto, e la romanità, ma anche la politica e l'antipolitica, il carattere degli italiani, il teatro, la cultura con i suoi vizi e le sue virtù e la memoria del passato, che è sempre più bello del presente, come certe serate al night, quando il cantante alle due di notte attaccava a cantare in francese, tutto vestito di nero, «Le foglie morte» e, sulle note di «Ne me quitte pas», arrivava la mitica «Nun me romp' er ca'». Non manca l'attualità, nel libro, raccontata con i suoi protagonisti, da Berlusconi a D'Alema, da Rutelli a Salvini, ma soprattutto con il paradosso della satira: «Un barcone pieno zeppo de ggente è sbarcato ieri sulle coste libbiche. So tutti Italiani: Lombardi, Veneti, Siciliani, Calabbresi, inzomma de tutte le Reggioni. Scappano e nun se sa si so' pensionati, cervelli in fuga, clandestini o esodati».

E una riflessione sulla macchina scenica («Io quando provo sono una specie di maniaco»), con le differenze tra il teatro dell'attore e quello dell'organizzazione registica, gli esordi nelle cantine, il successo popolare con «Alleluja, brava gente» al Sistina e il primato insostituibile del mattatore: «Quando dicevano di Petrolini Discende dalla commedia dell'arte lui rispondeva: Io discendo dalle scale di casa mia.

E così anche a me piace dire di me». Com'era lo scrittore Proietti, Carlotta? «I sonetti nascevano dal desiderio di sfogarsi su alcuni fatti di cronaca, spesso ci chiamava al telefono: Senti un po'.... Scrivere gli piaceva sempre di più. L'aspetto bello del libro è che raccoglie tante fasi della sua vita, raccontate con uno sguardo ironico, profondo nella leggerezza. La parte su Roma è quella a cui sono più affezionata, aveva sempre gli occhi a cuore quando parlava della sua città». 

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E allora eccola, Roma, con il dialetto più sintetico della lingua italiana e i romani che hanno «una marcia in più», con il traffico, il derby e la monnezza, ma anche con il ponentino e la sua grande bellezza resistente ai tempi difficili del lockdown: «Roma è triste. Roma è immobile. Roma me mette paura. Roma è spettrale. Roma è morta? No, Roma se riposa». Eccoli i sonetti per gli amici Sordi, Gassman, Magni, Piovani, e un ricordo di Totò nel trentennale della scomparsa: «Io nun posso morì, so' Totò». Eccola la rivendicazione orgogliosa: «Ebbene, sì. Confesso. Sì, scrivo roba in versi. Mi dichiaro rifugiato poetico».

Ancora Carlotta: «Per noi il libro è un regalo di papà. Lavorare sui suoi scritti ci è stato di conforto nel dolore della perdita e ci è sembrato naturale rendere partecipe di questo sentimento il pubblico che lo ha tanto amato». Ora Carlotta, Susanna e Sagitta pensano a una fondazione a suo nome e a celebrarlo come merita, quando la pandemia lo permetterà. Intanto in estate si riaprirà il Globe, il teatro all'aperto di Villa Borghese che Gigi aveva fondato con l'entusiasmo di un ragazzo: «Per quest'anno rimane la sua direzione artistica che portiamo avanti noi». Aveva progetti e, alla sua maniera, fiducia nel futuro, Proietti: «Ce la faremo con il coronavirus, sì ce la faremo, sarà impossibile guarirci dalle nostre antiche malattie. Presto potrete andare a trovare i congiunti e i più bravi potranno andare anche a incontrare i congiuntivi».
 

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