Martone: «La mia Bohème un po' nouvelle vague»

Martone: «La mia Bohème un po' nouvelle vague»
di Donatella Longobardi
Giovedì 7 Aprile 2022, 08:24
4 Minuti di Lettura

Fresco di ben 14 candidature ai David per il film su Scarpetta «Qui rido io» e in vista del ritorno alla Scala («Rigoletto» a giugno e «Fedora» a ottobre), Mario Martone porta in tv la terza opera di una singolare e personale trilogia. Dopo i bei risultati di audience con il rossiniano «Barbiere di Siviglia» e la verdiana «Traviata», affronta per la prima volta Puccini con «Bohème», in onda domani su Raitre alle 21.20. Sul podio il nuovo direttore musicale del Teatro dell'Opera di Roma, Michele Mariotti, con la sua orchestra e coro.

Nel cast la Mimì di Federica Lombardi, il Rodolfo di Jonathan Tetelman, la Musetta della moldava Valentina Naforni, il beneventano Davide Luciano come Marcello, il georgiano Giorgi Manoshvili come Colline e Roberto Lorenz come Schaunard. Costumi di Anna Biagiotti, luci e fotografia di Pasquale Mari. «E sarà, come nelle altre occasioni, una performance in piena regola non un film d'opera, ma un'opera filmata che diventa cinema», spiega il regista napoletano che in piena pandemia, due ani fa, tenne a battesimo un suo nuovo ideale format, facendo rivivere il capolavoro rossiniano in un teatro completamente vuoto.

E ora Martone?
«Ora per fortuna i teatri sono pieni. Così ho pensato di realizzare l'opera in un luogo che potrebbe rappresentare il dietro le quinte. E ho scelto i laboratori di scenografia del Teatro dell'Opera di Roma, in via dei Cerchi, un edificio bellissimo di archeologia industriale molto particolare e ampio che mi ha consentito anche di realizzare una soffitta con pochi elementi scenografici trovati sul posto, proprio all'ultimo piano dell'edificio dove si dipingevano i fondali per il teatro. Ma ci saranno anche degli esterni».

E l'epoca?
«Siamo negli anni 60, nel pre-Sessantotto. C'è un'aria di ribellione. Potremmo pensare a un film della nouvelle vague: giovinezza, amicizia, sogni, tradimenti, amore. Una giovinezza ribelle molto evidente, ad esempio, nel rapporto con le poche figure di adulti che vengono derisi e sbeffeggiati dai giovani protagonisti».

«Bohème», però è anche opera delle illusioni e della gioventù perduta, dove irrompono la malattia e la morte.
«Sì, ma io non ho voluto vedere Mimì malata fin dal primo momento come molti fanno in teatro. È una ragazza piena di sogni, di illusioni che si infrangono. Ma il suo dramma è la vita, è la realtà, l'accadere delle cose. È il momento in cui le illusioni si infrangono e si capisce cosa significa stare al mondo.

Ed è incredibile quanta vita, quanta energia, possa sprigionare ancora oggi quest'opera scritta da Puccini alla fine dell'Ottocento».

Un'opera che alterna momenti diversi, da un lato l'intimità delle scene d'amore, dall'altro la confusione delle vie parigine.
«Già. E proprio il secondo atto con l'affollato Cafè Momus mi dà la possibilità di insistere con il cinema».

In che senso?
«È un momento in cui tutto succede contemporaneamente. C'è Musetta che prende in giro Alcindoro e istiga Marcello, c'è Parpignol con il coro di bambini, ci sono Mimì e Rodolfo con la loro cuffietta. Tanti piccoli quadretti che grazie all'arte di Puccini si accavallano in una scena quasi cubista, in cui si sente tutta l'avanguardia del 900».

E il cinema?
«Il cinema mi dà la possibilità di soffermarmi su questi vari momenti».

Il tutto sempre in presa diretta?
«Certamente. L'orchestra suona dal vivo, i cantanti cantano e recitano rispondendo alle mie poche richieste. C'è un complicato gioco di monitor e riporti perché i cantanti e il direttore non possono mai perdersi di vista. Non è facile, è quasi una follia».

Ma dopo la terza prova, lei a questa follia ci dev'essere abituato, la rifarebbe?
«Per il momento chiudo un trittico. Certo, nel frattempo non posso negare che si è mosso qualcosa, il mondo si trasforma, si guarda oltre. Ma in ogni caso questo format tra teatro, opera lirica e cinema, risponde alle origini del mio lavoro in cui dominavano le contaminazioni. Anzi. A proposito di contaminazioni e nuove tecnologie, ho finito il montaggio per lo streaming del mio Otello realizzato al San Carlo e spero tutti possano vederlo in rete al più presto. In tanti non sono potuti venire a teatro, è una bella occasione».

La lirica, comunque, ha sempre una parte importante nei suoi programmi?
«In questo momento sì, ci sono le due opere per la Scala. Due titoli previsti negli anni scorsi e saltati a causa del Covid che ora il teatro ripropone».
Intanto ci sono le quattordici candidature per «Qui rido io».
«Naturalmente le tante nomination ai David sono un bel traguardo. La candidatura alla sceneggiatura cui ho lavorato intensamente con Ippolita di Majo mi ha fatto molto piacere. Credo comunque che sia un bel momento non solo per me ma per tutto il cinema napoletano che schiera registi, attori, sceneggiatori, tecnici. Un momento di forza e di festa che spinge al sorriso in un tempo in cui c'è poco da sorridere».

© RIPRODUZIONE RISERVATA