Il Premio Serao al Teatro San Carlo, una vita da orchestra

Il Premio Serao al Teatro San Carlo, una vita da orchestra
di Donatella Longobardi
Mercoledì 23 Maggio 2018, 07:00
5 Minuti di Lettura
Dalle atmosfere un po' scanzonate di «My fair lady» al dramma della dark Lady di Shostakovic passando per Rota, la sinfonia delle Alpi di Strauss e i tamburi di Avitabile. E in prima fila ci sono sempre loro, i magnifici ottantotto dell'orchestra del San Carlo che al fianco del coro guidato da Marco Faielli affrontano i musicisti e le atmosfere più diverse nell'ambito di una programmazione sempre più varia e serrata. L'orchestra non mancherà all'appuntamento con il Premio Serao, il gala organizzato da «Il Mattino» in occasione della consegna del riconoscimento alla scrittrice iraniana da anni esule negli Usa Aznar Nafisi, in programma lunedì 28 maggio al San Carlo con la presentazione della nuova veste grafica. Una serata tra musica e letteratura nel segno del femminile curata da Claudio Di Palma in omaggio alla fondatrice del quotidiano cui prenderanno parte Carolina Rosi e Lina Sastri e tre celebri signore della lirica, tutte nate sotto il cielo della Campania: Rosa Feola (casertana), Carmen Giannattasio (avellinese) e Maria Grazia Schiavo (napoletana). I soprani, accompagnati dall'orchestra e sotto la direzione attenta di Maurizio Agostini, eseguiranno brani scelti da capolavori di Verdi e Puccini mentre l'ensemble proporrà una celebre melodia di Mascagni, l'intermezzo di «Cavalleria rusticana». Un'ulteriore prova di professionalità e di duttilità per il gruppo che vanta dal 2016 la direzione onoraria di Zubin Mehta e la guida stabile di Juraj Valcuha, premio Abbiati come miglior direttore dell'anno 2018 proprio per le sue performance napoletane e in particolare per la sua esecuzione della pucciniana «Fanciulla del West» in apertura di stagione.
 
«L'affrontare i repertori più svariati apre gli orizzonti, ci gratifica, ci permette di rendere più poliedrica la nostra attività», nota Gabriele Pieranunzi, dal 2004 primo violino «per chiara fama» dell'orchestra napoletana, attività che non gli impedisce frequenti sortite cameristiche, anche su cd. «È chiaro, la produzione è aumentata moltissimo negli ultimi anni, ma in questo senso il San Carlo si adegua ai grandi teatri europei forte anche della bacchetta di Valcuha, che è un valore aggiunto per il gruppo che ha un potenziale altissimo. Grazie al musicista serbo c'è stata una sorta di cambio di mentalità, un rigore e una disciplina che mi ricordano i tempi in cui nostro direttore era il grande Jeffrey Tate». «Ma ogni direttore crea un comune afflato, chi in un modo chi in un altro. Ora aspettiamo Riccardo Muti per il Così fan tutte e siamo molto orgogliosi che lui abbia scelto Napoli per il ritorno all'opera in Italia. Le individualità sono importanti ma quando si suona insieme serve afflato per creare emozione», osserva il primo violoncello Luca Signorini, anche lui solito a sortite solistiche pure nel segno del jazz, al suo posto in orchestra da una ventina d'anni. Anni passati di cui è testimone Sisto Lino D'Onofrio, primo clarinetto e una vita tutta «dentro» il San Carlo: «Credo siano 43 anni, entrai in orchestra ragazzino, a 15 anni, era il 1975 e frequentavo ancora il conservatorio tanto che non potei fare domanda per essere ammesso stabilmente nell'organico perché ero minorenne. È stata una vita professionale molto bella la mia, piena di soddisfazioni, il clarinetto è uno strumento fantastico col suo suono sottile, delicato ma potente. Me ne innamorai a dieci anni quando i miei genitori mi iscrissero al liceo musicale di Capua, avrei voluto imparare la chitarra ma non c'era la classe. Ascoltai un clarinetto da dietro una porta, non sapevo neppure che strumento era, ma decisi che era quella la mia strada». Una strada che si è incrociata con grandi interpreti e grandi direttori. Pavarotti si affacciò alla buca per applaudire il suo «solo» al terzo atto di «Tosca», un successo personale lo riscosse a Budapest dove il San Carlo portò «Luisa Miller» con un assolo di clarinetto che Verdi aveva scritto per il celebre solista sancarliano dell'epoca, Sebastiani. «Ma ancora oggi studio almeno 2-3 ore al giorno, anche se sono in vacanza, non si finisce mai di imparare e non ci si ferma mai, serve esercizio come agli atleti», confida D'Onofrio. Il più giovane dell'ensemble è invece Quentin Capozzoli, 21 anni, studi di perfezionamento a Lione e origini americane. In gennaio s'è presentato al concorso per violino di fila e ora occupa orgoglioso il suo posto in orchestra, felice di vivere quest'esperienza napoletana con la fidanzata, studentessa in trasferta grazie all'Erasmus. Ma Quentin non è il solo straniero in organico, sono tanti gli «stranieri napoletani» da anni in teatro e cittadini napoletani d'adozione: dal violino di spalla Cecilia Laca che è albanese al francese Bernard Labiausse primo flauto da circa trent'anni, dal trombonista austriaco Stephan Buchberger a Erika Gyarfas una violinista ungherese che al San Carlo ha trovato marito, il clarinettista Stefano Bartoli. «I napoletani sono davvero pochini, un posto in orchestra al San Carlo è da sempre meta ambita per i musicisti italiani e stranieri», spiega il segretario artistico Franco Andolfi. Tantopiù che le prospettive negli anni sono cambiate: «Non siamo più l'orchestra che fa solo opera in buca, si è molto sviluppata l'attività sinfonica, la programmazione serrata fa in modo che si attinga spesso alla lista degli aggiunti, presto faremo altri concorsi. La crisi ha cambiato il modo di fare teatro: oggi abbiamo in piedi almeno due produzioni contemporaneamente». «E in questo contesto la qualità è aumentata», fa eco Agostini, dal 2008 direttore musicale di palcoscenico, sempre più spesso sul podio in tournée e per opere e concerti. «Spesso preparo l'orchestra, altre volte subentro nelle repliche, ma il gruppo è sempre più solido, ci si ascolta, si crea il suono. E il bello è che tra i musicisti c'è amicizia e affiatamento umano, quando si gioca con la musica è una marcia in più».
© RIPRODUZIONE RISERVATA