San Carlo, Martone: «Otello? Soldato e femminicida in piena guerra»

San Carlo, Martone: «Otello? Soldato e femminicida in piena guerra»
di Donatella Longobardi
Venerdì 19 Novembre 2021, 10:35 - Ultimo agg. 20 Novembre, 08:12
5 Minuti di Lettura

Mario Martone torna al San Carlo domenica alle 19 per inaugurare la stagione lirica quindici anni dopo il trittico Mozart-Da Ponte.

Come si prepara?
«Sì, sembra incredibile ma manco nel teatro della mia città dal 2006. Dopo avere concluso le riprese del nuovo film al rione Sanità, Nostalgia dal romanzo di Ermanno Rea, è stato bello tornare nella sala del Niccolini, ritrovare tecnici, maestranze, coro. Con il direttore Mariotti abbiamo lavorato spesso insieme e c'è una perfetta sintonia. Jonas Kaufmann non è solo una voce ma un'autentica anima teatrale che incarna Otello. Maria Agresta, che sarà una Desdemona forte e battagliera, è stata con me alla Scala per Oberto, conte di San Bonifacio, titolo giovanile di Verdi che pure ho riportato ai nostri giorni».

E in questa occasione?
«Dovendo metterci le mani era ineludibile farlo con gli occhi dei nostri tempi. Con la scenografa Margherita Palli per attualizzare il contesto abbiamo pensato a un paesaggio mediorientale di oggi, una sorta di deserto, un campo di battaglia che è terra di migrazioni e di guerre. Verdi era un uomo coraggioso che guardava alla società del suo tempo. E io gli rendo omaggio mettendo in primo piano le urgenze dell'oggi».

Ovvero?
«Come si fa a mettere in scena un femminicidio senza pensare all'allarme sociale che circonda l'argomento? Come si fa a non pensare a tutte le donne uccise da un uomo che grida di amarle? Il teatro è un luogo vivo, non è un museo.

Dobbiamo porci domande. Il problema è chiedersi come fare per non tradire Otello e Verdi».

Già, e lei come ha fatto?
«Ho cercato soluzioni plausibili con il testo. D'altronde sono alla terza prova col capolavoro verdiano e lo conosco bene. Nel 2017 ho fatto una regia a Tokyo ambientandola nell'800 all'epoca di Verdi invece che nel quindicesimo secolo, come vuole la trama. Nell'82, all'inizio di carriera ai tempi di Falso Movimento, usai il libretto dell'opera per una performance d'avanguardia che girò il mondo, con le musiche di Peter Gordon. Ora, più che rifarmi a Shakespeare, ho affinato ancora di più la ricerca e ho pensato alla dimensione orientale e un po' magica in cui Verdi e Boito ambientano l'azione: Cipro, terra esotica, dove arrivano anche gli ambasciatori della Serenissima. E sono andato oltre».

Otello, Desdemona, Jago, lei ne fa tutti soldati in tuta mimetica.
«Soldati dello stesso esercito. Il fazzoletto del tradimento, che non può mancare, è quello che lui porta al collo in battaglia e dona all'amata. Lei è una donna forte, valorosa, non è la sposa fedele, l'agnello sacrificale, l'angioletto bianco strangolato dal mostro nero. Perché non c'è bisogno di dipingere il volto di Otello per mettersi in sintonia con un dramma che parla alla coscienza di chiunque. Mi riferisco al rapporto tra uomo e donna e a una mostruosa fantasia creata dal manipolatore Jago per suoi fini personali. Dinamiche che possiamo ritrovare nella nostra vita di tutti i giorni».

Si può dunque dire che il suo sia un «Otello» politicamente corretto?
«Mai come ora si assiste ad un continuo disvelamento di certe problematiche sociali attive da secoli, se non millenni, ma occorre buonsenso. Saint-Just diceva che la rivoluzione quella francese - era come un vulcano. Queste sono questioni che bruciano, dobbiamo fare attenzione a non scottarci con la lava. Io, di fronte a un tema come il femminicidio, ho semplicemente reagito da uomo del mio tempo. Non dimentichiamo che Verdi stesso, personaggio dall'altissima coscienza civile e morale e con una forte tensione per l'Italia unita, affrontò spesso temi scandalosi per i suoi tempi e fu costretto dalla censura a cambiare nomi, epoche e situazioni ai suoi drammi. Che, in fondo, raccontano vizi e virtù dell'essere umano di ieri e di oggi».

Un racconto che lei alterna sempre tra scena e set.
«È una costante della mia attività. Dopo Napoli vado subito al montaggio del film e poi alla Scala in giugno per dirigere Rigoletto. In ottobre invece, sempre a Milano, ho in programma la regia di Fedora di Giordano».

Insomma, dopo Verdi ancora Verdi?
«Un caso. Ma devo dire che nella lista delle mie regie liriche, la maggioranza è di opere verdiane. Recentemente, ad esempio, ho diretto Falstaff a Berlino e Traviata a Roma».

La sua «Traviata» al Teatro dell'Opera ha ottenuto ascolti record per la Rai in piena pandemia dopo il successo, pure televisivo, del «Barbiere di Siviglia»: entrambi gli spettacoli hanno mantenuto vivo il legame col pubblico in un momento difficile.
«Sì, una vera follia se si pensa che ho avuto solo un mese a disposizione per realizzare la messa in scena del Barbiere. Ma per cercare di superare la grande depressione in cui tutti eravamo piombati mi sono buttato di getto nel lavoro, d'altronde Rossini ha scritto l'opera in quindici giorni...».

In quella occasione lei ha inventato un vero e proprio format per portare l'opera in tv o al cinema, facendo interagire i cantanti con lo spazio della sala o gli esterni del teatro come aveva fatto anche in precedenti regie. E in «Otello»?
«Ora per ovvie ragioni non è possibile. Anche dietro le quinte dobbiamo rispettare regole anticontagio molto rigide. In buca c'è un organico un po' ridotto. Sulla scena il coro canta con le mascherine, solisti e figuranti sono senza mascherina ma sono monitorati in continuazione coi tamponi. Oltre al green pass, naturalmente, una misura fondamentale. Nonostante tutto ciò, però, la mia intenzione è sempre quella di chiamare lo spettatore a una forma di condivisione, in questo caso una condivisione mentale non potendo essere anche fisica. Come faccio al cinema».

© RIPRODUZIONE RISERVATA