Covid, Lavia: «Tenere chiusi i teatri un gesto di ignoranza»

Covid, Lavia: «Tenere chiusi i teatri un gesto di ignoranza»
di Luciano Giannini
Domenica 28 Marzo 2021, 09:04
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Le sale chiuse in tutt'Italia; i lavoratori a Milano occupano il sacro palcoscenico del Piccolo; quelli di Napoli insediano un presidio al Mercadante: nella Giornata mondiale del teatro un suo illustre «ministro» ne parla con l'amore e il rispetto dovuto a un'arte «più forte di qualunque virus»: Gabriele Lavia, attore, regista, sceneggiatore, 79 anni di cui quasi 60 vissuti in simbiosi col palcoscenico.


Lavia, che cosa le suscita quella che è stata definita «Giornata di resistenza del teatro» più che una festa?
«I teatri son chiusi in parte perché c'è il Covid; in altra parte perché non aprirli fa risparmiare molti soldi ai gestori, che hanno la giustificazione per non fare spettacoli e devono solamente pagare gli stipendi.

I teatri non costano. Costano i loro uffici».


E perché in tanti, allora, ne sollecitano la riapertura?
«Gli attori, sono soprattutto loro che la invocano».


Crede sia giusto tenerli serrati da oltre un anno?
«No. Perché non sono molto pericolosi. Si può osservare con rigore la distanza interpersonale. Se in una sala di mille posti potessero entrare anche soltanto 50 o cento persone, la sicurezza sarebbe assoluta e il teatro non languirebbe. Chiuderli è stato uno straordinario gesto di ignoranza e di volgarità».


Lei, per giunta, recitò dinanzi a un solo spettatore...
«È vero. E lo feci meglio di altre sere, perché il pubblico esiste nella sua presenza, ma anche nell'assenza».


La responsabilità spetta ai politici...
«... Che non sanno di cosa parlano quando si occupano di teatro. Ne ignorano il significato, da dove venga, a cosa sia servito, la ragione per cui l'essere umano ha sentito il bisogno ontologico di rappresentarsi per riconoscersi. Per prendere coscienza di quel che è, l'uomo deve rappresentarsi. Può farlo... che so... facendo un sugo».


E i programmi gastronomici sono di gran moda.
«Infatti. Evidentemente, si sente il bisogno di rappresentarsi nel mangiare; mentre c'è stato un tempo in cui se ne sentiva uno differente; altrimenti, non si sarebbero edificati splendidi teatri in marmo, che oggi in Italia non esistono quasi più, perché la Chiesa ha razziato il materiale per costruire i suoi meravigliosi templi.... Vede, il teatro è così importante, anche se dimenticato dai più, perché le cose importanti sono quelle di cui pochi si occupano. Il calcio è molto importante? No, ma fa girare una trottola di miliardi. Quando cesserà di esistere, il teatro continuerà a essere. Così, come esisteva anche prima che il calcio fosse. Beninteso, non ce l'ho con il calcio. A me non interessa unicamente per l'educazione famigliare che ho ricevuto».


Come sarà il teatro dopo la pandemia?
«Come prima. È perfetto così com'è. Non usiamo più maschere e coturni, ma agiamo come nell'antica Grecia, pur recitando in modo diverso. Il cinema, invece, è morto».


Morto?
«Lo amo molto, ma oggi lo si guarda sul telefonino e alla tv. Quando ci vado, mi faccio fotografare da mia moglie perché, in genere, sono l'unico spettatore. Le sale sono vuote. Ricordo che a Torino ne costruirono una di 2700 posti, perché doveva arrivare un kolossal, La tunica e non sapevano dove mettere il pubblico. Il cinema è una techne, destinata a essere superata da un'altra techne. Il teatro, al contrario, è un sapere, e non potrà mai essere superato, anche se può sopportare momenti di crisi».


Ha storie minime da raccontare, che diano testimonianza del disagio e delle difficoltà sofferte dai lavoratori dello spettacolo?
«Purtroppo no. Certo, non devo scomodare Newton per sapere che c'è chi, per sua mala ventura, non è riuscito a mettere da parte danaro sufficiente a sopravvivere in questo anno. Io non ho sofferto molto. Vivo relegato in casa, a leggere, studiare. Esco per fare il giro del fabbricato e fermarmi al bar, dove trovo soltanto vecchietti incazzati contro tutto e tutti. Intanto, preparo una versione teatrale di un romanzo francese, Le leggi della gravità di Jean Teulé, senza sapere dove e quando lo metterò in scena».


Infine, che cosa pensa dello streaming?
«Il teatro è riconoscimento di sé di fronte allo stesso di sé. Deve accadere tra persone viventi e in presenza. È come il sesso. Puoi provare coi messaggini erotici e sconci, ma è sempre meglio farlo all'antica che in streaming».

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