Il centro di produzione Rai di Napoli compie 60 anni: viaggio nella fabbrica delle storie di Fuorigrotta

Il 7 marzo il centro di produzione Rai di Napoli, in via Marconi a Fuorigrotta, compirà 60 anni

Il cast di Un posto al sole
Il cast di Un posto al sole
di Luciano Giannini
Venerdì 6 Gennaio 2023, 12:00
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Francis Scott Fitzgerald: «E così andiamo avanti, barche contro la corrente, incessantemente trascinati verso il passato». Facciamoci trascinare anche noi: l'inaugurazione avvenne il 7 marzo, con il presidente del consiglio Amintore Fanfani. Il 31 toccò all'auditorium, opera immaginata già per il futuro (la Rai assunse tutti i maestri dell'Orchestra Scarlatti; altri tempi). Illustre presenza di quella sera: il capo dello Stato, Antonio Segni. Al pianoforte, una leggenda, Arturo Benedetti Michelangeli. Era il 1963.

Il 7 marzo il centro di produzione Rai di Napoli, in via Marconi a Fuorigrotta, compirà 60 anni; età matura per una fabbrica culturale che ha assaggiato il sapore della gloria e il fiele dell'agonia; che oggi vanta lavoro a tempo pieno e l'eccellenza indiscussa delle sue maestranze. L'evento sarà celebrato con svariate iniziative, anche editoriali e musicali, rese pubbliche presumibilmente dopo Sanremo; ma ci sono due anticipazioni: nei giorni scorsi il direttore di Radio Rai, Roberto Sergio, ha dichiarato di voler valorizzare il vasto patrimonio dell'Archivio storico della canzone napoletana custodito in via Marconi. E nelle settimane passate è stato presentato il master in scenografia e costumi che vede Rai Napoli al fianco di Netflix e Accademia di Belle Arti.

La prima pietra della Rai a Fuorigrotta fu posta nel 1958. La produzione era iniziata già nel 1961, ma fu quel 7 marzo 1963 a consacrare la nuova fabbrica, che non inquinava l'aria come l'Italsider e si inseriva in una precisa strategia di politica industriale. Con la sicumera del monopolio da parte del partito al potere, la Dc, la tv pubblica investiva al Sud, concretando la visione dell'ente preso a modello, la Bbc. Il motto di un suo mitico direttore, John Reith, era: «Informare, educare, divertire. Al pubblico occorre offrire non ciò che desidera, ma ciò di cui ha bisogno» (altri tempi). Il centro Rai educò, informò, divertì. Lo fece innanzitutto forgiando quella che Francesco Pinto, suo ex direttore, definisce una «aristocrazia tecnico-operaia» di prim'ordine.

Magari grazie a personaggi come il maestro Manzi ed il professore Cutolo.

Cominciò la fausta epoca degli sceneggiati tv: «Delitto e castigo», da Dostoevskji, girato anche nel giorno dell'inaugurazione, regia di Anton Giulio Majano, con Luigi Vannucchi, Ilaria Occhini e la ragazzina prodigio Loretta Goggi; «Peppino Girella», sceneggiato dallo stesso Eduardo De Filippo, con Luisa Conte e Giuliana Lojodice. Eccellenza del prodotto, scenografie e costumi fatti in casa: il centro diventò la sede giusta in cui concentrare la produzione del genere. Ed ecco, tra i tanti, «Questa sera parla Mark Twain» (Paolo Stoppa e musiche di Fiorenzo Carpi); «Le avventure di Laura Storm» (Lauretta Masiero, Aldo Giuffré); «Resurrezione» da Tolstoj (Alberto Lupo, Franco Enriquez alla regia, Andrea Camilleri delegato alla produzione); «Luisa Sanfelice» (Lydia Alfonsi); «La figlia del capitano» (Amedeo Nazzari, Umberto Orsini); il Maigret di Gino Cervi e il Nero Wolfe con Buazzelli; gli interni del thriller gotico «Il segno del comando» (Ugo Pagliai); «Il marchese di Roccaverdina (Modugno).

Nel 1967 gli studi di via Marconi divennero centro per la produzione della tv dei ragazzi. E per i «Ragazzi di Padre Tobia» firmò le musiche un giovane Roberto De Simone.

Non solo sceneggiati, però. In estate, libero dagli impegni musicali, l'auditorium ospitava - in diretta - un varietà entrato nella storia della tv, «Senza rete» (1968-1975), dove la scenografia altro non era che il palcoscenico nudo, con poche modifiche. A crearla bastava il radioso organo a canne, logo della fabbrica napoletana. E come non citare «Check-up» di Biagio Agnes, l'informazione «Nord chiama Sud-Sud chiama Nord», «Domenica in» 1992?

Ma i bei sogni durano poco. La società e il suo specchio, la tv, cambiavano. La paleo-tv del monopolio finì in pezzi. La Rai licenziò l'orchestra, gli sceneggiati si estinsero come i dinosauri, lasciando campo alla nuova specie berlusconiana, a film e telefilm d'importazione. Anni difficili. Il centro Rai di Napoli rischiò la chiusura. Mancò davvero poco. A salvarlo fu un'intuizione di Giovanni Minoli, sostenuta dalla lungimiranza di Elvira Sellerio. E nacque «Un posto al sole».

La soap di Raitre inaugurò un modello produttivo e industriale, servì come sperimentazione per tutta la nuova serialità, costrinse alla flessibilità delle menti e dei sindacati. Idea vincente. La sua longevità ne è la prova, come anche la sua capacità di essere orologio dei tempi: nell'ultima puntata, ambientata in una notte di Capodanno, Sasà e Castrese, nella vita vera Cosimo Alberti e Peppe Romano, si sono scambiati un bacio al chiaro di luna, non senza la polemica di qualche conservatore timoroso che il bacio omosex possa turbare - chissà perché, poi - i minori. Da «Upas» «La squadra» prese a prestito il sistema produttivo, ma impiegando per la prima volta le telecamere ad alta definizione. Entrambe le fiction assicurarono il pane quotidiano alla sede, che aveva temuto chiusura e/o ridimensionamento. E il seme prolificò: «Pippo Cheneddy Show», «Convenscion», «Furore», «Napoli capitale». E, poi, «Verde mattina», «Alle falde del Kilimangiaro», la serie «Sette vite», «Neapolis», «Famiglia Salemme show», fino a «Made in Sud» e alle commedie in auditorium, alla ricerca di nuove forme per un teatro-tv adatto al pubblico del nuovo millennio, all'incontro tra il Nobel Dario Fo e Mika.

Il viaggio nel tempo termina con l'immagine di un centro Rai oggi in salute, che col suo direttore Antonio Parlati ha appena terminato «Bar Stella» e «Stasera tutto è possibile», dove si è imposto il glamour di Stefano De Martino; si appresta a ospitare «Reazione a catena»; assicura programmi come «Agora week-end», «Cook 40», il nuovo «Check-up», «Dilemmi» con Carofiglio; registra spettacoli come il «Don Carlo» al San Carlo, destinati ai palinsesti di Rai Cultura; e invia le squadre esterne in giro per il mondo con Alberto Angela e a Roma per Fiorello e «Viva Rai 2!». 

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