De André, storia d'amore ma senza anarchia nella fiction

De André, storia d'amore ma senza anarchia nella fiction
di Enzo Gentile
Sabato 20 Gennaio 2018, 10:20 - Ultimo agg. 12:31
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I temi e i personaggi trattati dalle fiction per il grande pubblico televisivo possono essere delicati e difficili, ma aver affrontato un universo vasto e complesso come quello di Fabrizio De Andrè, la massima espressione poetica della nostra canzone d'autore, resta, al di là di ogni giudizio, un'impresa spericolata quanto coraggiosa. È stata mandata in porto dalla Rai che sulla rete ammiraglia trasmetterà le oltre tre ore di «Fabrizio De Andrè - Principe libero» il 13 e 14 febbraio, nella settimana postsanremese, mentre gli appassionati e i curiosi più impazienti potranno anticipare l'attesa correndo al cinema il 23 e 24 gennaio, quando il film sarà proiettato in 300 sale italiane (l'elenco sul sito nexodigital.it).
 


Con la regia di Luca Facchini («Sono sempre stato un fan assoluto e ritengo un onore e una fortuna aver realizzato questo lavoro»), il film fotografa un pezzo di vita di Faber, con un unico denominatore comune, la sigaretta accesa e qualcosa da bere, dall'adolescenza a Genova fino al periodo immediatamente successivo al sequestro avvenuto nell'autunno 1979 e conclusosi dopo quattro mesi di prigionia in Sardegna insieme a Dori Ghezzi nelle mani dei rapitori, dopo circa quattro mesi e il versamento di un cospicuo riscatto.

Nel corso del tempo si incontrano gli amici d'infanzia (su tutti Paolo Villaggio, qui benissimo ripreso da Gianluca Gobbi), i primi tentativi di scrivere canzoni, gli spettacoli per provarle fuori dalla propria stanza, e poi gli attriti con il padre, gli amori giovanili e le scorribande notturne. Nella sapiente, efficace interpretazione di Luca Marinetti (esploso con «Lo chiamavano Jeeg Robot»), di puntuale somiglianza, brillante nelle esecuzioni voce e chitarra, e solo un po' troppo incline all'accento romanesco, come gran parte del cast (ancor più curiosa l'inflessione napoletana dei suoi primi discografici della Karim, anche loro genovesi) Faber manifesta subito il suo talento e nella fiction si segue correttamente l'ascesa, tra i momenti tristi (la morte dell'amico Luigi Tenco) e la soddisfazione della versione di Mina della sua «Canzone di Marinella», che nel 1968 gli garantirà i primi robusti guadagni.

Nel frattempo Fabrizio si è sposato con la bellissima Puny (Elena Radonicich), è diventato padre di Cristiano, ha cominciato a incidere i suoi capolavori: lo si ritroverà più avanti anche sul palco della Bussola, ingaggiato da Sergio Bernardini che prova a sciogliere la sua paura di proporsi dal vivo, e quindi, dopo aver iniziato il rapporto d'amore con Dori Ghezzi, si assiste anche alla scelta di vita del trasferimento in Gallura, a pochi chilometri da Tempio Pausania, in aperta campagna.

Storie d'amore con poca anarchia, senza mai dire «belìn»: non si dirà che ne viene fuori un santino, ma nemmeno che questo è il ritratto dell'artista complesso venuto per dividere, e non per unire. Un prodotto, insomma, didascalico come devono essere le fiction desiderose di share, il «Principe libero» si avvale comunque di una maestosa colonna sonora: in parte dalla voce dello stesso Marinelli («Rimini», «La canzone di Marinella», «Canzone dell'amore perduto», «Il pescator», «Canzone del maggio», «Hotel Supramonte»), in parte con i documenti discografici originali, che consentono all'opera di volare grazie ad autentiche perle della nostra musica.
Ma Marinelli quanto ha studiato per entrare nei panni, e nelle canzoni, di Fabrizio? «All'inizio ero letteralmente terrorizzato», risponde l'attore, «sicuro che fosse un'impresa impossibile, non avevo nessuna idea di cosa e come fare. Ma poi Dori mi ha aiutato tantissimo, mi ha assistito e preso per mano: con calma ho imbracciato la chitarra, provato a cantare entrando in quell'universo parallelo: e alla fine ce l'ho fatta. Un'esperienza fortissima, meravigliosa: lo ritengo uno splendido regalo».

 

La missione più importante era proprio sulle spalle di Dori Ghezzi, da una parte la compagna dell'artista, dall'altra la responsabile della Fondazione e della tutela del patrimonio e del repertorio: dev'essere stato impegnativo, anche emotivamente, entrare ed uscire dalla realtà e dai ricordi: «Quando mi è stato presentato il progetto», confessa lei, «ho visto ragazzi entusiasti e preparati e come aveva fatto Fabrizio, che amava dare fiducia ai giovani, da Piovani a De Gregori, mi è sembrato bello affidarmi a loro, senza tralasciare nulla, senza dare niente per scontato e imparando anche i compromessi necessari in televisione. Qualcosa è rimasto fuori, ma ritengo ci sia stata una bellissima osmosi tra tutti noi e credo che il film piacerà anche a coloro che erano stati vicini e conoscevano bene Fabrizio».
Nei mesi scorsi Cristiano, nato alla fine del 1962 e dunque molto presente nella storia attraversata dal film, aveva segnalato un distacco, senza polemica, dall'iniziativa, in disaccordo con un racconto della sua vita e di quella di sua madre, senza essere stato interpellato: «Il film non lo ha visto», spiegano alla conferenza di lancio, «e ora si trova all'estero: poi potrà giudicare, ma capirà che non abbiamo fatto del male a nessuno».
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