Ema Stokholma, il racconto choc a Verissimo: «Mia madre era un mostro, voleva che mi buttassi da un ponte»

Ema Stokholma, il racconto choc a Verissimo: «Mia madre era un mostro, voleva che mi buttassi da un ponte»
Ema Stokholma, il racconto choc a Verissimo: «Mia madre era un mostro, voleva che mi buttassi da un ponte»
di Eva Carducci
Sabato 19 Dicembre 2020, 18:16
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La dj Ema Stokholma si è raccontata nel salotto di Silvia Toffanin a Verissimo: «In casa non c'erano amore o parole dolci, solo violenza verbale e non, che succedeva tutti i giorni, se non a me a mio fratello. Sono stata vittima di violenze da parte di mia madre, delle volte le cose che mi diceva mi facevano più male della violenza fisica, che comunque subivo. Con le parole ha fatto dei danni che mi sono portata avanti fino a poco fa».

Racconta con la consapevolezza di chi ha sofferto molto Ema, anche del gesto estremo che la madre l'ha spinta a compiere da bambina: «Mi ha portato su un ponte, nel paesino nel sud della Francia dove vivevamo, e mi ha spornato a buttarmi di sotto.

Stavo per farlo, poi il libraio del paese è passato per caso e abbiamo lasciato perdere. Nessuno sapeva, non parlavo con gli adulti. Scappavo sempre di casa, e mi riportavano sempre lì, senza chiedermi niente. Ma come è possibile che una bambina di sette, o dieci anni, scappi di continuo? Non se ne poteva parlare, era un taboo, e io avevo paura che lo dicessero a mia madre. Mia madre era un mostro, lo era davvero. Adesso ho capito perché facevo così. Era giovane quando ha fatto due figli con l'uomo che amava, che poi l'ha lasciata. Nella disperazione possiamo soffrire tanto da fare cose sbagliate. Non sono per il perdono, non mi sento superiore a mia madre al punto di perdonarla. L'ho capito, e ho provato empatia. Mi basta capirla, non odiarla più».

Un racconto toccante che prosegue parlando del fratello: «Non ce lo siamo mai detto, neanche fra di noi. La prima volta che ho parlato con mio fratello avevo diciassette anni. Fu difficile parlarne, ma è stato il primo momento in cui mi sono sentita compresa. Non era normale, non è così che le persone vivono. Non mi ero mai sentita capita, mio fratello è l'unico testimone di quello che è successo».

A quindici anni la fuga, e la ricerca del padre in Italia: «Forse nel 2000 era facile spostarsi senza controlli. Ero minorenne, ma niente mi avrebbe fermato, avevo le ali, dovevo solo salvarmi, perché altrimenti sarei morta o avrei fatto qualcosa di brutto. Ho preso un treno da Parigi a Roma, e ho visto il sole, ho visto Roma. Avevo rubato i soldi a mia madre, organizzato la cosa, e sono andata, senza un piano effettivo. Antonio, mio padre, mi ha accolto bene, ma è stato difficile, non puoi costruire un rapporto dal nulla a quindici anni. Ho provato a dirgli cosa mi aveva fatto mia madre, ma non ho avuto un gran riscontro. Anche lui ha avuto un'infanzia difficile, e non abbiamo mai approfondito. Sono riscappata, ma non mi ha fermata. Facevo la cameriera, poi la modella. Poteva sembrare che andava bene e invece ero persa, un'adolescente persa. Per una volta ho dovuto toccare il fondo, per decisione mia. Rovinarmi la vita da sola, l'ho cercato e ho vissuto per strada a Londra. Un'esperienza tosta che mi ha formato tantissimo e che mi ha permesso di risalire».

Continua la Stokholma: «Non ho mai avuto paura della morte o delle difficoltà, non avevo paura di niente, non avevo niente, solo la vita, ma neanche quella era la mia. Quando hai così paura da bambina non ti ferma niente. Fino a tre anni fa, quando poi è morta, ho rivisto solo due volte mia madre, e sono andata a trovarla per rispetto, nei confronti di mio fratello. Sono andata anche al funerale, ma solo per lui. Sentimentalmente rimangono tante ferite. Sono una persona che sorride sempre, non potrei chiedere altro dalla vita, ma appena entra una relazione in gioco è la fine. Serve una persona che capisca questa cosa. Io sono pronta, però escono fuori le mie debolezze in una relazione. Adesso da sola ho un equilibrio, ma quando entra qualcuno nella mia vita, entra in gioco anche la paura dell'abbandono, e una serie di meccanismi di controllo che nascono da quella paura. Forse è vero allora, non sono ancora pronta. Quando vedevo un gesto affettuoso di una madre nei confronti di una figlia, anche nei film o nelle pubblicità, soffrivo, adesso no. Anche Una mamma per amica mi faceva star male». 

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