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Gomorra, ultimo atto: il viaggio di Genny e Ciro fino al termine del male

di Titta Fiore
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 17 Dicembre 2021, 23:59 - Ultimo agg. : 18 Dicembre, 17:43
5 Minuti di Lettura

Si sono inseguiti, sfidati, rincorsi. Si sono amati come due fratelli, come un figlio ammira il padre, come un padre cresce un figlio. Si sono odiati come solo due amanti dopo un tradimento feroce. E ora tutto finisce lì, su una spiaggia nera nella notte infinita di Gomorra. Ciro e Genny, la faccia riversa nella sabbia dopo l’ennesima imboscata tra bande rivali. Per l’ultima volta dalla stessa parte. «Ce vulevamo magnà ‘o munno a muorze», volevamo mangiarci il mondo a morsi, dice il boss sconfitto. Invece è stato il mondo a divorarli, perché a Gomorra non c’è redenzione, non c’è futuro, e il male si paga sempre con il male.
Tutto, nella quinta stagione che si è chiusa ieri sera su Sky Atlantic (in streaming su Now e on demand) con i due attesissimi episodi finali, girati rispettivamente da Marco D’Amore e Claudio Cupellini, è stato costruito per arrivare a questo drammatico e inevitabile showdown.

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I nuovi personaggi che hanno irrobustito la narrazione sono caduti come birilli: O’ Maestrale e sua moglie donna Luciana, O’ Galantommo e la sua vendicativa compagna donna Nunzia, Grazia, l’agnello sacrificale della famiglia Levante, l’untuoso O’ Munaciello e prima ancora Enzo Sangue Blu, onorato in morte dai suoi uomini come uno sciamano. Tutto, alla fine, resta sullo sfondo. Nella realtà circolare di «Gomorra» la storia, dopo aver fatto giri immensi, torna là dov’era partita: a Secondigliano. Ma in ballo non c’è solo il controllo delle piazze di spaccio. C’è una guerra per il potere degna di un dramma elisabettiano. E ci sono demoni interiori impossibili da sconfiggere. Ciro Di Marzio, il figlio di nessuno, e Gennaro Savastano, l’erede di una dinastia criminale, hanno incrociato strade e destini in nome di codici d’onore impazziti e agghiaccianti disvalori. Il loro ultimo duello, chiusi nell’abitacolo di un’auto che corre verso il nulla, è fatto di parole, è il bilancio di due vite perdute e, a modo loro, una catarsi.

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E ora? Questa volta non sono previsti colpi di scena. Nessun escamotage di sceneggiatura metterà un’ipoteca sul futuro di Ciro e Genny, com’è accaduto nelle serie precedenti in maniera anche clamorosa. Dice Marco D’Amore: «Sono stati eplorati tutti gli ambiti. Quello che verrà dopo di noi sarà nelle mani degli spettatori e dei critici, credo però che la serie metta il punto». Ieri, sulle pagine di alcuni quotidiani, i due attori che li interpretano hanno detto addio ai loro personaggi in maniera inequivocabile: uno sfondo nero, un intenso primo piano e un congedo in prima persona. «Caro Genny, sette anni fa ero solo un ragazzo di periferia che sognava di fare l’attore. E per realizzare quel sogno ti ho dato il mio corpo, la mia voce, la mia anima» scrive Salvatore Esposito. «Ti ho dato tutto me stesso. Il tuo dramma è stato il mio dramma, le tue ferite hanno segnato anche me. Abbiamo vissuto ciascuno la vita dell’altro... Ora però tutto quello che abbiamo tenuto stretto, dobbiamo lasciarlo andare. Domani realizzeremo che non ritorna mai più niente, ma forse questa è la nostra più grande conquista. Forse ci mancheremo, forse ci rivedremo» (possibile uno spin-off?). 

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Quella di D’Amore, invece, è come una lunga didascalia di un copione teatrale: «La stanza è buia, una luce filtra dal lucernario. C’è odore di sigaretta, spesso accese mille volte. Stai seduto in un angolo, mi dai le spalle... Silenzio. Ti passi una mano sul cranio lucido. Poi, come fai tu, ti volti appena, mi guardi, i tuoi occhi brillano di una luce violenta. Vieni vicino. Riduci la distanza con quel modo che hai di arrivare a un centimetro dal volto, il collo proteso in avanti. Vorrei dirti tante cose, abbracciarti forse. Ma so che non posso nulla. Sei tu il protagonista. Il tuo sguardo è duro, come se mi rimproverassi qualcosa. Poi d’improvviso sorridi, come poche volte hai fatto. Mi dai due piccoli buffetti sul volto. “Fa’ ‘o bravo”, dici».

Video

«Gomorra» chiude la sua lunga avventura, nata da un’idea di Roberto Saviano e dall’intuizione di Sky, Cattleya e Betafilm, in maniera coerente con la propria linea narrativa. Ha raccontato le dinamiche di una realtà criminale dove non c’è posto per la speranza e non c’è possibilità di futuro. La morte violenta di Ciro e Genny è una condanna senza appello e, dicono i suoi autori, anche una risposta alle polemiche sui rischi di emulazione: da quel mondo di violenza e di malaffare non ci si salva e non si torna indietro. Dal punto di vista produttivo, ha contribuito in maniera netta a ridefinire gli standard della serialità nazionale, diventando in breve la più famosa e apprezzata tra le serie italiane nel mondo, venduta in più di 190 paesi e classificata dal «New York Times» al quinto posto tra le produzioni non americane più importanti del decennio appena concluso.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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