«La vita bugiarda degli adulti», intervista ad Alessandro Preziosi: «È la Napoli dei miei ricordi»

«Ogni film che giro a Napoli è un mezzo per riconciliarmi con la città e con la lingua napoletana»

Alessandro Preziosi sul set de «La vita bugiarda degli adulti»
Alessandro Preziosi sul set de «La vita bugiarda degli adulti»
di Titta Fiore
Mercoledì 4 Gennaio 2023, 12:03
4 Minuti di Lettura

Un braccialetto. Un braccialetto regalato, dimenticato, perduto e ritrovato è il filo rosso che attraversa «La vita bugiarda degli adulti», la nuova serie tratta dall'omonimo romanzo (edito da e/o) di Elena Ferrante e diretta da Edoardo De Angelis disponibile da oggi su Netflix in tutti i paesi raggiunti dalla piattaforma. Come la bambola misteriosamente sparita nell'«Amica geniale», quel braccialetto di fili d'oro bianco che passa di mano in mano sottolinea le emozioni, gli scarti, le «smarginature» dei protagonisti di una storia divisa tra l'ingessata finzione della Napoli borghese e la disperata vitalità della città bassa. Quartieri alti e periferia degradata, menzogne e verità si intrecciano in un racconto di formazione che è anche il potente affresco di un'epoca, gli anni Novanta, brulicante di grandi fermenti e rivoluzioni. Nel passaggio tempestoso dall'infanzia all'adolescenza Giovanna (Giordana Marengo) si rispecchia nell'indomabile zia Vittoria (Valeria Golino), custode di inconfessabili segreti sul passato della sua famiglia, nonostante la contrarietà dei genitori (Pina Turco e Alessandro Preziosi). Intellettuale colto e comunista, rispettato insegnante del Vomero, l'attore è Andrea, che sotto la patina del padre affettuoso e dell'amico fedele nasconde una natura bugiarda e traditrice. «È il personaggio più ipocrita e contraddittorio» dice Preziosi, «quello più capace di venire a patti con se stesso pur di continuare la propria scalata sociale, mettendo da parte la dignità».

Dal punto di vista del suo personaggio che cosa racconta «La vita bugiarda degli adulti»?
«Racconta la perdita dei valori negli anni Novanta del secolo scorso, e una borghesia troppo attenta alla forma e poco alla sostanza.

Molti dicevano una cosa e ne facevano un'altra. Il libro mette in luce proprio quel tipo di mistificazione della realtà. Ma alla fine il mio personaggio lascia che sua figlia gli legga in fondo agli occhi e, almeno, si fa riconoscere per quello che realmente è».

Tutta la narrazione corre sul doppio binario delle bugie e della verità.
«La storia pone delle domande, ma non dà risposte, lascia allo spettatore il rapporto con la verità. La vita familiare è un continuo travaso di saperi e se non si ha una dignità forte, intima, a volte una bugia diventa inevitabile. Inutile fare la morale. Io ho smascherato la mia natura davanti ai miei figli, nessuno lo ha fatto con me».

Come erano i suoi anni Novanta?
«Famiglia borghese, Napoli alta, per dirla con la Ferrante. Ci si muoveva a piedi, niente motorini e automobili, andavo avanti con poco. Da ragazzo ero affascinato dai vicoli, mi piaceva rischiare e frequentavo tutti, anche quelli che non andavano a genio ai miei genitori. Avevo amici di ogni genere e guardavo con ammirazione quelli più sfrontati di me. Poi il liceo Umberto, la politica e l'università, studiavo Lettere, frequentavo i centri sociali...».

E poi decise di fare l'attore.
«Non avevo una particolare passione, volevo andare via da casa, questo sì, uscire dalla mia bolla protetta ed entrare nel mondo vero. Così lasciai Napoli, che però resta sempre la mia fonte di ispirazione. Ogni film che giro a Napoli è un mezzo per riconciliarmi con la città e con la lingua napoletana».

Oggi com'è il suo rapporto con Napoli?
«Di adolescenziale curiosità, perché ho la fortuna di farla conoscere ai miei figli. Allo stesso tempo ne sono come impaurito, perché è una città che non trova pace e in questa fase della vita non mi dispiacerebbero ritmi meno vivaci. Confesso di averli cercati, anche se è difficile trovarne di migliori».

Quanti ricordi suoi sono finiti nella serie?
«Ho fatto un viaggio nella memoria, sono diventato improvvisamente mio padre che esce dal suo studio, che sbuccia l'arancia in un certo modo, che legge quel tipo di giornale Sono molto grato a Edoardo De Angelis, sul set abbiamo condiviso tutto. Alla fine, non è mai difficile, quando ti affidi a mangiafuoco del suo calibro».

Il romanzo della Ferrante le ha fatto da guida?
«Naturalmente, la sua intelligenza narrativa e la sua cultura dei luoghi napoletani sono molto importanti perché rifuggono da ogni tentazione folklorica e vanno al cuore delle emozioni. E la sua fama internazionale è il migliore viatico per il nostro lavoro».

Ora a cosa sta lavorando?
«Preparo la mia opera prima al cinema e poi tornerò al teatro. Negli ultimi tempi ho fatto tante cose, vorrei procedere con calma. Questa serie è stata un bellissimo regalo, non mi sarei mai aspettato di rappresentare sul set quella borghesia che da ragazzo non capivo, pur essendoci cascato dentro». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA