Maurizio Costanzo morto, nel 1993 l'attentato ai Parioli a Roma: 24 feriti, ma lui e Maria De Filippi illesi per miracolo

Venne subito seguita la pista di Cosa Nostra: poi si scoprì che già l'anno prima Toto Riina e Matteo Messina Denaro avevano pianaficato l'agguato

Maurizio Costanzo morto, nel 1993 l'attentato ai Parioli: 20 feriti, ma lui e Maria De Filippi illesi per miracolo
Maurizio Costanzo morto, nel 1993 l'attentato ai Parioli: 20 feriti, ma lui e Maria De Filippi illesi per miracolo
Paolo Ricci Bittidi Paolo Ricci Bitti
Venerdì 24 Febbraio 2023, 14:02 - Ultimo agg. 20:36
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Maurizio Costanzo e Maria De Filippi scamparono per miracolo a un attentanto mafioso la sera del 14 maggio 1993 in via Fauro ai Parioli: un'auto imbottita con 90 chilogrammi di tritolo esplose al passaggio dell'auto che riportava a casa il conduttore e la compagna dopo una sessione di prove al "Parioli". Un boato spaventoso: quando la polvere si adagiò a terra quella via sembrava di Beirut, non di una delle zone più eleganti di Roma. Le facciate dei palazzi erano devastate fino al 4° piano, sull'asfalto un tappeto di vetri. Ventiquattro i feriti, due gravi. 

La pista mafiosa fu quella seguita fin dall'inizio, da almeno due anni, dall'omicidio dell'imprenditore palermitano Libero Grassi nel 1991, il giornalista e conduttore era diventato protagonista di una coraggiosa campagna contro la la criminalità organizzata.

Arrivò a bruciare in diretta una maglietta che aveva stampata la scritta "Mafia made in Italy" e insieme Michele Santoro convinsero i vertici di Rai e Mediaset ad allestire una lunghissima trasmissione in diretta. Costanzo aveva invitato spesso all'MC Show il giudice Giovanni Falcone e aveva maturato una forte amicizia con lui e con i suoi ideali.  

La sera del 14 maggio 1993 la Mercedes blu  guidata da Stefano Degni che trasportava Maurizio Costanzo e Maria De Filippi e che era seguita dalla Lancia Thema della scorta con le guardie del corpo Fabio De Palo e Aldo Re (entrambi poi feriti) passò vicino a una Fiat Uno parcheggiata a poca distanza  dal Parioli.

Una colonna di cemento e un muretto assorbirono l'onda d'urto che avrebbe causato la morte certa dei passeggeri di quelle auto: l'esplosione sfogò altrove l'enorme potenza distruggendo le facciate dei palazzi di quel tratto di via Fauro e ferendo gli inquilini.

Le indagini accertarono poi che già nel febbraio 1992 Cosa Nostra, su ordine del boss Totò Riina, aveva mandato a Roma una banda composta da mafiosi di Brancaccio fra i quali Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano,  Vincenzo Sinacori, Lorenzo Tinnirello, Cristofaro Cannella e Francesco Geraci. Con loro portarono decine di chili di esplosivo nascoste nell'abitazione di un complice.

Tra gli obbiettivi, oltre a Maurizio Costanzo, il giudice Falcone e il ministro della Giustizia, Claudio Martelli. Alla fine, date le difficoltà di colpire il giudice e il ministro, il gruppo decise di puntare su Costanzo che venne pedinato per alcune sere mentre tormava a casa dal Parioli, Poi però Riina decise di far rinetrare in Sicilia la banda.

L'anno dopo, in maggio, nuova trasferta a Roma, sempre di malavitosi di Brancaccio: fra questi Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Salvatore Benigno, Giuseppe Barranca e Francesco Giuliano Scarano. Per prima cosa rubarono la Fiat Uno che venne caricata di tritolo in un garage a Tor Bella Monaco e quindi parcheggiata in via Fauro. la sera del 13 maggio il telecomando non funzionò. Ventiquattro ore dopo i mafiosi riuscirono a far esplodere la vettura, ma Salvatore Benigno, preso in contropiede dall'arrivo di una Mercedes e non dell'attesa Alfa Romeo 164, azionò in ritardo il congegno.  Oltre ai palazzi di Fauro vennero danneggiati anche quelli di via Boccioni. Decine le auto distrutte o danneggiate. Un vero miracolo che non si piansero morti. 

Cinque anni dopo, grazie ai pentiti, gli attentatori vennero riconosciuti in Cristofaro Cannella, Salvatore Benigno, Cosimo Lo Nigro, Giuseppe Barranca, Gaspare Spatuzza, Francesco Giuliano e Antonio Scarano. Oltre agli esecutori (vendi sentenza sotto) vennero condannati come mandanti i boss Riina, Bagarella, Giuseppe e Filippo Graviano, Matteo Messina Denaro, Bernardo Provenzano, Giuseppe Ferro e Brusca.

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