Raffaella Carrà, la più amata dagli italiani: addio alla regina della tv

Raffaella Carrà, la più amata dagli italiani: addio alla regina della tv
di Titta Fiore
Martedì 6 Luglio 2021, 07:00 - Ultimo agg. 19:21
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E pensare che non era nemmeno bionda. Eppure, anche grazie a quel caschetto color platino scolpito dalle forbici sapienti dei fratelli Vergottini è diventata un'icona senza confini, un prototipo da imitare, e poi, più profondamente, più saldamente, il simbolo di una rivoluzione gentile. Prima di lei c'erano le vallette mute del «Musichiere» e, volendo osare, il dadaumpa delle gemelle Kessler con le calze coprenti sulle gambe sterminate; con lei è arrivata nelle case degli italiani la figura della showgirl di nuova generazione, capace di cantare, ballare, presentare, condurre, ideare una trasmissione e realizzarla lavorando fianco a fianco con registi e autori. Con il suo sorriso, la risata fragorosa, con il suo pragmatismo romagnolo, le paillettes, le spalline e la ferrea professionalità ha contribuito a cambiare l'immagine della donna in anni in cui prendere posizione non era affatto scontato. Amata non a caso da mondi diversi e trasversali, seguitissima icona gay, Raffaella Carrà, 78 anni di cui più di 60 vissuti sul palco e davanti alle telecamere, è stata la dimostrazione di come si possa raggiungere e conservare il successo restando fedeli a se stessi. Molto riservata, diceva di sé: «Ho più paura che la gente dica: Ancora lei!, piuttosto che: Dove è andata a finire?». E anche la malattia, «che da qualche tempo aveva attaccato quel suo corpo minuto eppure così pieno di straripante energia», l'aveva vissuta così, nel silenzio della discrezione, circondata dall'affetto degli adorati nipoti Federica e Matteo, dell'ex compagno Sergio Japino, cui ieri è toccato il compito triste di annunciarne la morte, di Barbara, Paola e Claudia Boncompagni, le ragazze che aveva cresciuto come figlie. La sua vera famiglia allargata. Nascondere la sofferenza è stato il suo ultimo gesto d'amore nei confronti del pubblico che non l'aveva mai dimenticata. Voleva lasciare «un luminoso ricordo» della persona che è stata. Elegante, intelligente, allegra, positiva, semplice. Famosissima, ma mai diva: «La Carrà va in scena» diceva, «ma io con Raffaella Pelloni devo conviverci ogni giorno».

Raffaella Maria Roberta Pelloni, ribattezzata Carrà dal regista Dante Guardamagna, in omaggio al pittore, nata a Bologna il 18 giugno del 1943 e cresciuta a Igea Marina tra il bar e la gelateria del papà, s'innamorò della musica guardando in televisione le trasmissioni di Mario Riva e imparando a memoria titoli, balletti e ritornelli delle canzoni. Ma furono la mamma e la nonna a insegnarle a stare al mondo e a tenerla d'occhio da lontano anche quando si trasferì a Roma a studiare al Centro Sperimentale di Cinematografia. Grazie a una piccola parte in «La lunga notte del 43» di Florestano Vancini arrivò alla Mostra di Venezia e nel 65, sul set del «Colonnello Von Ryan», recitò con Frank Sinatra. Celebre la foto in cui lui le cinge il collo con una collana di perle in una pausa delle riprese: i giornali dell'epoca scrissero di una segreta love story, lei smentì: «Blue Eyes aveva fascino, ma nella mia roulotte ascoltavo i Beatles». In ogni caso, Raffaella capì ben presto che non il cinema, ma la televisione sarebbe stata la sua vera strada. «Io, Agata e tu», con Nino Taranto e Nino Ferrer fu il primo successo, nel 70 diede scandalo per l'ombelico scoperto a «Canzonissima», ma la sua bravura (e le polemiche) la lanciarono tra le primedonne dello spettacolo italiano e la sigla «Ma che musica maestro» si piazzò stabilmente in vetta alle classifiche. 

 

L'anno dopo replicò con il provocatorio «Tuca Tuca» ballato con Enzo Paolo Turchi, censurato dalla Rai alla terza puntata di «Canzonissima» e sdoganato solo dopo l'esibizione di Raffa con Alberto Sordi, diventando un autentico fenomeno popolare. Con Mina presentò l'epocale show «Milleluci», reggendo benissimo il confronto con la Signora della canzone, che da lì a poco si sarebbe ritirata dalle scene. E poi arrivarono i grandi hit come «Fiesta» e «A far l'amore comincia tu», remixata da Bob Sinclar e inserita da Paolo Sorrentino in una scena cult di «La grande bellezza» («quando il film ha vinto l'Oscar» disse Raffa, «ero gonfia come un pavone, era un po' come se lo avessi vinto anche io»). 

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Gli anni Ottanta sono quelli di «Fantastico» con Corrado, Sabani e Renato Zero, venticinque milioni di spettatori pazzi per la sigla di apertura «Ballo ballo». E anche quelli del sodalizio artistico e sentimentale con Gianni Boncompagni, che la accompagnerà per tutta la sua carriera.

Con Gianni, soprattutto, inventa la fascia pomeridiana, con «Pronto, Raffaella» e il gioco dei fagioli, mentre con il coreografo e regista Sergio Japino, l'altro grande amore della sua vita, vara «Carramba! Che sorpresa», un successo senza precedenti che ha generato a tutt'oggi diversi tentativi di imitazione. Poi ancora tanta tv, in Italia e in Spagna, dove diventa una regina incontrastata del piccolo schermo, un passaggio alla Fininvest durato un paio di anni e il ritorno in Rai, con un'edizione di «Fantastico» resa memorabile da un'irruzione «sotto la cintura» di Benigni, e la conduzione del Festival di Sanremo con Chiambretti e Enrico Papi. Tra i suoi programmi del cuore, «Amore», sull'adozione a distanza, e «The Voice of Italy», dove si divertiva a fare la coach di giovani talenti. Nella primavera del 2019 era tornata in tv con un programma di interviste a una serie di italiani eccellenti, «A raccontare comincia tu», entrando nell'intimità delle case di Sophia Loren, Riccardo Muti, Paolo Sorrentino, Luciana Littizzetto e dell'amica Maria De Filippi.

L'ultimo post risale al 18 giugno, il giorno del suo compleanno: «Il vostro affetto mi commuove, vi abbraccio e vi auguro un'estate con ritorno alla normalità». Per sé ha chiesto una bara di legno grezzo e un'urna semplice per le ceneri. È stata un'icona mondiale, Raffaella Carrà, e il dolore per la sua scomparsa è unanime e internazionale. Ma forse sono le parole di Renzo Arbore a dare il senso più compiuto di cosa ha rappresentato: «Gli storici parleranno della fine della Belle Époque del piccolo schermo. Io provo un grande dolore per aver perso un'amica». 

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