Ricky Tognazzi e Simona Izzo: «Per la nostra famigliona tanti mini-Natali diversi»

Ricky Tognazzi e Simona Izzo: «Per la nostra famigliona tanti mini-Natali diversi»
Ricky Tognazzi e Simona Izzo: «Per la nostra famigliona tanti mini-Natali diversi»
di Gloria Satta
Domenica 6 Dicembre 2020, 07:54 - Ultimo agg. 09:00
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«Famigliastra»: è stata Simona Izzo a coniare qualche anno fa questo ironico neologismo per indicare i nuclei allargati, cioè composti dai parenti originari a cui se ne aggiungono di nuovi in seguito a separazioni, divorzi, ulteriori unioni. Una realtà ormai sempre più diffusa, sicuramente più vivace e a volte capace di rendere più complicate le relazioni interprersonali.

E una famigliastra, ma lei oggi preferisce parlare di «famigliona», è quella che la regista forma con il secondo marito Ricky Tognazzi e i congiunti di entrambi: figli, fratelli, sorelle, mariti, ex, nipoti, cognati, suocere, new entry come compagni e fidanzati dalla durata variabile.

In tutto una cinquantina di persone legatissime tra loro e abituate a frequentarsi assiduamente: «Più che un clan, siamo una minoranza etnica», scherza Ricky. Come gestire il Natale-covid con posti a tavola contingentati, coprifuoco e tamponi? I Tognizzo (così vengono chiamati i due registi che vivono e lavorano in simbiosi), ne stanno discutendo con i congiunti. E lo raccontano, come sempre, a una sola voce. 

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Avete già qualche idea?
«All'inizio volevamo festeggiare tutti insieme, sia pure in tavoli separati, in un hotel di Velletri dove si trova la tomba di Ugo (Tognazzi, padre di Ricky, ndr) e abitano Gianmarco e Franca (il fratello del regista e l'ultima moglie di Ugo, ndr). Ma il divieto di spostarsi tra un comune e l'altro nei giorni delle feste ha fatto saltare il programma».

Ed è subentrato un piano B?
«Dopo giorni di frenetiche chat, litigi e riappacificazioni, ci è venuta un'idea che è un po' l'uovo di Colombo. Faremo tanti Natalini ridotti e differenziati, ciascuno con il numero di commensali consentito. Per poter smaltire tutti i parenti cominceremo le cene intorno al 20 dicembre ma due giorni prima ci recheremo in massa a fare il tampone». 

E cosa pensate delle proteste contro le restrizioni di fine anno?
«Sono semplicemente assurde. Con il covid non si scherza, le regole vanno rispettate alla lettera. Noi lo facciamo anche durante i pranzi che organizziamo nel nostro casale alle porte di Roma nei giorni festivi, non a caso da noi chiamati le domeniche covidate». 

Come funzionano?
«I parenti vengono invitati a turno, indossiamo tutti le mascherine e siamo rigorosamente distanziati anche a tavola. Chi è rimasto fuori si collega via zoom o fa una videochiamata. Gestire la rotazione comporta una fatica bestiale, c'è sempre chi si risente o protesta perché è stato escluso. Ma la voglia di stare insieme è più forte di tutto». 

Come mai, mentre molti non vedono l'ora di fuggire i propri cari?
«La tavola imbandita è il collante che, al di là degli inevitabili scontri, tiene unita la nostra famiglia imperfetta ma fortemente intenzionata ad andare d'accordo. Naturalmente, in questo periodo, c'è anche chi approfitta del covid».

In che modo?
«Spesso la pandemia diventa un'alibi per non partecipare con la scusa dell'assembramento. O per rallentare tutto e non fare cose che anche in questo periodo si potrebbero fare benissimo». 

Il virus ha colpito qualcuno del clan?
«Fortunatamente no. C'è stato solo un falso positivo, ma siamo sempre stati bene perché rispettiamo i protocolli, anche sul lavoro. Noi due stiamo dirigendo a quattro mani una serie Mediaset con Sabrina Ferilli: in 12 settimane di lavorazione non ci sono stati contagi e tutto è filato liscio. Se in un ambiente promiscuo come il set si riesce a schivare il virus, significa che proteggersi è possibile».

Come prevedete che usciremo dalla pandemia?
«Soltanto con il vaccino. Anche le calamità a un certo punto finiscono: ce lo insegna la storia che ha visto passare le guerre, le epidemie, le pestilenze. Oggi che purtroppo il virus continua a galoppare, immunizzarsi è l'unica speranza. Noi due siamo ultrasessantenni e lo faremo senz'altro».

Da autori di commedie, riuscite a ironizzare sul periodo surreale che stiamo vivendo?
«Nemmeno un po'. Lo stress prevale su tutto, anche sul senso dell'umorismo che nella nostra vita e nel nostro valoro ha sempre avuto un ruolo importante. Il lockdown familiare che stiamo subendo ci procura molto dolore. Ci sembra un controsenso vedere la casa senza pentoloni sul fuoco, privata dei profumi di cibo mentre la cucina è vuota e la tavola semideserta. Non vediamo l'ora di uscire dalla pandemia per poterci riabbracciare. E tornare a litigare non più sulle chat ma in presenza: credete a noi, è un'esperienza fantastica». 

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