Tosca D'Aquino: «La mia Napoli tra Vomero e caffè alla nocciola sognando Sorrentino»

Tosca D'Aquino: «La mia Napoli tra Vomero e caffè alla nocciola sognando Sorrentino»
di Maria Chiara Aulisio
Venerdì 3 Dicembre 2021, 16:30
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Tosca all'anagrafe, e nessun nome d'arte, vomerese doc, l'anima della protagonista l'ha sempre avuta. Era poco più di una bambina quando - a scuola dalle Suore francescane missionarie di Maria - sbaragliava le compagne e saliva sul palco vestendo i panni della prima attrice. A sei anni già recitava Non ti pago di Eduardo De Filippo tra gli applausi dei grandi e l'invidia dei piccoli. 

 

Il teatro nel sangue.
«Lo sapevo già nella pancia di mia madre il mestiere che avrei voluto fare. Quando me lo chiedevano - e io rispondevo con certezza: l'attrice - tutti pensavano che si trattasse di quei sogni di bambina che poi non si realizzano mai».

Invece si è realizzato eccome.
«Su un punto non ho dubbi: passione, impegno e determinazione riescono quasi sempre a farti raggiungere l'obiettivo».

Dicono che essere nati a Napoli per un attore significa avere una marcia in più. È così?
«Ne sono assolutamente convinta.

E lo sanno anche i registi. Accanto al mio nome, per esempio, c'è sempre scritto attrice napoletana. Non ho mai letto attrice torinese o milanese o fiorentina».

Che cosa vuol dire?
«Noi napoletani abbiamo una connotazione artistica ben precisa. La mimica, innanzitutto, la spontaneità ma anche la musicalità di un dialetto che riesce a migliorare ogni interpretazione».

Ha detto che ha vissuto al Vomero. Come Paolo Sorrentino.
«Lasciamo perdere».

Che cosa?
«È stata la mano di Dio: tre provini ho fatto, purtroppo non è andata».

Voleva una parte che non ha avuto?
«Certo. Mi sarebbe piaciuto molto. E il profilo c'era. Sorrentino cercava un'attrice napoletana, che fosse nata al Vomero, per il ruolo di mamma Maria».

Quello che poi ha interpretato Teresa Saponangelo.
«Non nascondo che al terzo provino ci ho sperato davvero, ma poi ho saputo che Sorrentino ne fa anche cinque prima di decidere. In ogni caso va bene così».

È già piena di lavoro.
«Non mi è mai mancato, devo ammetterlo».

I Bastardi di Pizzofalcone è stato un trionfo.
«La cosa più bella che c'è è girare a Napoli: mi piace assai. Ogni volta mi emoziono. Così come quando vado in scena al Diana, il teatro dove da ragazzina, già appassionata di recitazione, ho visto i miei primi spettacoli».

La prima cosa che fa quando arriva in città.
«Piazza Trieste e Trento, Caffè del professore. Tappa obbligatoria».

Caffè alla nocciola, ovviamente.
«E certo. Goduria assoluta. Lo faccio provare a tutti. E poi me ne vado a mangiare direttamente da Cicciotto, a Marechiaro. Devo stare vicino al mare quando torno».

Eppure è cresciuta al Vomero.
«Dove ho vissuto benissimo, sia chiaro, ma adesso ho voglia di Lungomare e di Posillipo. Anche se i luoghi dell'adolescenza restano sempre quelli del cuore».

Quali in particolare?
«San Pasquale, ad esempio, e il tempo trascorso in quella piazza a non far nulla. Le vasche tra via dei Mille e piazza Amedeo. Si portava e allora le sere del fine settimana le passavamo lì a chiacchierare e a tirar tardi».

Dal Vomero a Chiaia, quindi.
«Dipendeva dai periodi. Seguivo il gruppo. Ogni tanto si andava pure a ballare e allora ci spingevamo fino a via Manzoni. Ricordo che c'era un locale molto accorsato, mi pare si chiamasse Galapago».

Le piace ballare?
«Mi piace. Anche se allora non capitava spesso. In linea di massima la serata finiva mangiando un panino in qualche pub. Ci divertivamo con poco e in grande semplicità. E poi io in testa tenevo sempre un pensiero solo».

Diventare attrice.
«Non pensavo ad altro. Ricordo che avevo solo 16 anni e mia madre mi accompagnava in Rai, a Fuorigrotta. Facevo la subrettina in una trasmissione con Marisa Merlini, Enzo De Caro, Lory Del Santo. Non stavo nella pelle ogni volta che toccava a me».

Poi l'Accademia.
«I miei genitori mi dissero che se davvero volevo fare questo mestiere avrei dovuto studiare. Feci un provino e venni ammessa alla prestigiosa scuola d'arte drammatica Silvio D'Amico».

A Roma?
«Sì, certo. Papà lavorava alla Sip, chiese subito un trasferimento per far sì che tutta la famiglia rimanesse unita. E così, aggiungo a malincuore, lasciammo Napoli».

Da qual momento ha spiccato il volo.
«Ho fatto tante cose».

La vera svolta però è stata l'incontro con Leonardo Pieraccioni.
«I laureati, era il 1995, e Il Ciclone l'anno successivo. Che tempi! Ho lavorato bene anche con i fratelli Vanzina e con Vincenzo Salemme, ma pure con Neri Parenti, Luca Manfredi, Daniele Costantini, Jerry Calà. Da ciascuno ho imparato qualcosa».

Brava lo sappiamo. C'è chi dice aiutata anche da un pizzico di fortuna.
«Non lo nego. E però i momenti difficili li ho vissuti anche io. La vita di un'attrice non è mai solo rose e fiori. Anzi: alle colleghe giovani dico sempre: aspettatevi molti no e non vi scoraggiate».

Lei invece si è mai scoraggiata?
«Sì. E ogni volta che accadeva ripensavo a una frase di Anton Cechov».

Quale?
«Io ho fede, e questo mi allevia il dolore, e quando penso alla mia vocazione, non ho paura della vita».

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