Trudie Styler, E poi c'è Napoli: «Il mio viaggio al termine di Napoli»

Trudie Styler, E poi c'è Napoli: «Il mio viaggio al termine di Napoli»
di Luciano Giannini
Martedì 5 Luglio 2022, 11:00
5 Minuti di Lettura

«Metropoli di un Paradiso in rovine», definì la città Percy Bysshe Shelley nella sua Ode a Napoli. La moglie Mary, l'autrice di Frankenstein, che qui cercava buon clima e pace, preferì la prosa descrittiva di un diario. 204 anni dopo, proprio come un'aristocratica viaggiatrice del Grand Tour, calca le sue orme Trudie Styler; sì, la moglie di Sting (30 anni di matrimonio e quattro figli), che alla forma letteraria ha preferito quella del cinema. E venerdì scorso ha terminato le riprese di «... E poi c'è Napoli» (titolo provvisorio), direttore della fotografia il due volte candidato all'Oscar Dante Spinotti. Il documentario, prodotto da Rai Cinema, Mad di Luciano Stella con il sostegno del piano cinema regionale e la collaborazione della Film Commission Regione Campania racconterà Napoli in tutto il mondo con lo sguardo di un'attrice, regista e produttrice inglese, figlia di un'operaia e di un agricoltore, che prima di diventare l'intellettuale di oggi, colta, elegante, ecologica e benefattrice, ha sopportato non poche ferite: tra l'altro, l'incidente stradale che subì ad appena 2 anni.

 

Signora Styler, lei come definisce Napoli?
«Un palcoscenico.

Un luogo magico. L'anno scorso, quando cominciai le riprese, avevo una road map da seguire, ma... sa... in un documentario puoi permetterti il lusso di tradirla per inseguire volti e storie che nessun canovaccio potrà mai indicarti».

Che cosa l'ha colpita di più?
«La gente. Ho parlato con persone affascinanti e ho imparato ad amare la città attraverso le loro voci, che volevano condividere l'appartenenza a questa cultura».

Chi ha incontrato?
«Un po' tutti, abitanti dei bassi, artefici di mestieri creativi, ma anche il sindaco Manfredi; Alessandra Clemente, la figlia di Silvia Ruotolo, vittima innocente di camorra. Lo scultore Lello Esposito, Jorit, attori... e preti. Francesco Di Leva, che svolge un lavoro prezioso a San Giovanni, servendosi del teatro, il rapper Clementino, Don Antonio Loffredo, il parroco della Sanità. Dicono faccia più del dovuto, ma no! I sacerdoti dovrebbero agire esattamente così, trascendere rabbia e disperazione, aprire le porte delle loro chiese, deviare le esistenze verso percorsi più benefici. E tutti coloro che ho conosciuto sono legati da un solo fil rouge».

Quale?
«Vivono qua, da sempre, sono orgogliosi della loro appartenenza e desideravano farmi comprendere che cosa voglia dire essere cittadini di questo palcoscenico, dove la sorpresa è sempre pronta, dietro l'angolo».

Per quante settimane ha girato?
«Le riprese sono durate un anno, perché era mia intenzione mostrare Napoli in tutte le sue stagioni».

È stata a Sant'Agata sui due golfi. Perché?
«Sì, da Don Alfonso. Volevo capire il motivo per cui certi vostri prodotti sono tanto saporiti. E Don Alfonso mi ha spiegato che dipende dall'origine vulcanica del suolo».

Già, il Vesuvio...
«Ricordo una coppia - lui 94 anni, lei 91 - testimoni delle Quattro Giornate e dell'eruzione del 1944. Sì, ho chiesto anche cosa voglia dire abitare all'ombra di un vulcano attivo».

Le risposte?
«Mi hanno fatto capire perché da voi il presente è così importante. Il futuro è incerto. La morte incombe».

È stata al cimitero delle fontanelle?
«Certo! E mi hanno spiegato il culto delle anime, lo scambio reciproco di favori: io prego perché la tua salga in Paradiso, ma tu intercedi per me. Interessante: in realtà, il napoletano è un negoziatore. Tanti bambini scrivono la letterina a Babbo Natale per avere in dono, che so... l'I-Phone. Be', voi siete più diretti».

Dove altro è stata?
«San Carlo, Mann, simboli dell'antica capitale... Ah, il Grand Tour... si diceva vedi Napoli e, poi, muori. Poi, Vomero, Posillipo, centro storico... Il caffè sospeso: straordinario! Ne ho chiesto ragione a Bruno, titolare del bar Nilo. E ho compreso: in una città dove ricchi e poveri vivono uno accanto all'altro, chi può paga per chi non può. Il caffè sospeso è speranza, l'augurio di una buona giornata. È rito. Segno di profonda umanità».

Umanità e Gomorra.
«Ho ascoltato Roberto Saviano e Rosaria Capacchione... La camorra è un sistema, come la mafia in Sicilia, a New York... Chi conosceva la camorra prima di Gomorra?».

Alla fine, Napoli è più Inferno o Paradiso?
«Da molto tempo non ho contatti con l'Inferno, ma so che è esperienza difficile da governare. Napoli è stata ferita tante volte da riuscire a non soccombere, a fortificarsi con una resilienza che fa parte ormai del suo dna. E oggi resiste nonostante le contaminazioni. Cambia restando se stessa, mostrando le cicatrici. Tante altre città hanno perduto la loro identità. Questa no!». 

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