Turturro e «Il nome della rosa» in tv: «Il Medioevo? Nostro contemporaneo»

Turturro e «Il nome della rosa» in tv: «Il Medioevo? Nostro contemporaneo»
di Oscar Cosulich
Venerdì 1 Marzo 2019, 15:57 - Ultimo agg. 16:01
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Il monaco francescano inglese Guglielmo da Baskerville (John Turturro), dotato di una finissima intelligenza e di un acume degno di un investigatore, è stato scelto per mediare, nel 1327, la disputa tra la delegazione di Papa Giovanni XXII (Tchéky Karyo) e quella dei francescani, accusati di voler destituire il potere temporale della Chiesa. Quando il monaco Guglielmo, accompagnato dal suo novizio Adso da Melk (Damian Hardung), giunge nell'abbazia dove si terrà la disputa l'abate Abbone (Michael Emerson) gli affida il compito di indagare sulla misteriosa morte di un monaco, che si rivelerà solo come la prima di una serie di misteriosi delitti. È questo il punto di partenza della serie tv diretta da Giacomo Battiato (che ha scritto la sceneggiatura con lo stesso Turturro, Nigel Williams e Andrea Porporati), un kolossal da 26 milioni di euro già venduto in 130 paesi, tratto dal popolarissimo romanzo «Il nome della rosa» di Umberto Eco del 1980 che, tradotto in oltre 40 lingue, ha venduto più di 50 milioni di copie e da cui, nel 1986, il regista Jean-Jacques Annaud aveva già tratto il film omonimo, interpretato da Sean Connery, F. Murray Abraham, Christian Slater e Ron Perlman. In onda in prima mondiale lunedì 4 marzo su Raiuno alle 21.25, questa rilettura del romanzo di Eco si snoda in quattro appuntamenti di due puntate l'uno per circa sette ore di narrazione e vede nel cast anche Rupert Everett, Alessio Boni, Greta Scarano, Fabrizio Bentivoglio, Stefano Fresi e Roberto Herlitzka. «Ho molta stima di Annaud», premette Battiato, «ma lui aveva a disposizione solo due ore per narrare le vicende del libro di Eco e, forzatamente, si è dovuto concentrare sull'aspetto dell'intrigo giallo. Col respiro più ampio della serie noi abbiamo potuto inserire i tanti elementi diversi del romanzo e, con la benedizione di Umberto Eco stesso, abbiamo potuto dare più spazio ai Dolciniani, inventando anche il personaggio di Anna, che nel romanzo non esiste».



Turturro, che cosa l'ha attratta del libro?
«Devo confessare che, prima di ricevere questa sceneggiatura, non l'avevo letto. Poi, però l'ho studiato a fondo e ho passato due mesi di continui contatti su skype con Giacomo, mesi in cui ci scambiavamo note e osservazioni sulla incredibile contemporaneità di questa storia ambientata nel 1327».

Contemporaneità?
«Eco ha inserito nel suo romanzo infiniti temi da esplorare: c'è la filosofia, la politica, la repressione delle donne, il terrorismo, la cultura e la letteratura come mezzi di liberazione dall'oppressione».

Non sarà che stiamo tornando noi al Medioevo?
«Battiato ha notato come il nome del mio personaggio sia, allo stesso tempo, un omaggio a Sherlock Holmes con il riferimento a Baskerville, ma soprattutto a Guglielmo di Ockham, scomunicato perché sosteneva che autorità religiosa e civile dovevano essere nettamente separate perché finalizzate a scopi diversi, così come diversi erano i campi della fede e della ragione. Io posso solo aggiungere che il vero nemico del progresso è la semplificazione del pensiero».

Si spieghi.
«Semplice: se si banalizzano i concetti, se non si approfondiscono mai i temi di cui si parla, abbiamo una narcotizzazione del pensiero critico: la gente perde l'abitudine a farsi e fare domande, e il potere resta indisturbato. Non è un caso che uno dei modi di controllare i popoli sia rendere inaccessibile la cultura, nascondendo i libri e, ai mali estremi, bruciandoli».

Esiste oggi un Guglielmo da Baskerville?
«Temo di no, perlomeno io non l'ho mai incontrato. Probabilmente Eco è stato qualcosa del genere per i suoi studenti, vista la capacità di aprire loro la mente, suggerendo sempre nuove domande e non accontentandosi mai della risposta più semplice».

Lei ha collaborato anche alla sceneggiatura. Ogni volta che affronta un testo letterario lo approfondisce in questo modo?
«Quando è un romanzo di questo livello è indispensabile. L'ho fatto anche per Primo Levi, quando ho interpretato La tregua. Il mio lavoro ha senso solo se riesco a rispettare il testo originale. È estremamente frustrante quando in un film, per i motivi più vari, si finisce col perdere proprio le cose che più hai amato del romanzo da cui è tratto. In questo caso tenevamo a inserire più Eco possibile, mettendo in luce filosofia, religione e scienza. Di Guglielmo mi interessava il processo mentale, perché per lui la conoscenza è una protezione dal potere».
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