Da Londra 2012 all'America's Cup:
la rivincita tra Battisti e Sullivan

Da Londra 2012 all'America's Cup: la strana rivincita tra Battisti e Sullivan
Da Londra 2012 all'America's Cup: la strana rivincita tra Battisti e Sullivan
di Francesco Padoa
Lunedì 1 Marzo 2021, 08:00
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Due agosto 2012, Olimpiadi di Londra. Il Dorney Lake, a due passi dal castello reale di Windsor, è il palcoscenico del canottaggio. Nella finale del doppio, gli azzurri, in testa fino a un centinaio di metri dall’arrivo, e dall’oro, vengono superati dalla rimonta “turbo” della barca neozelandese. Sono secondi per appena 73 centesimi. Su quelle due imbarcazioni ci sono Romano Battisti (con Alessio Sartori) per l’Italia e Joseph Sullivan (con Nathan Cohen) per la Nuova Zelanda. Due campioni del canottaggio che, abbandonati i remi (ma non l’acqua), si sono dati alla Formula 1 della vela, e con grandiosi risultati. Entrambi grinder, ovvero i motori delle rispettive barche, si ritrovano ora avversari nella Coppa America che Luna Rossa Prada Pirelli tenterà di portar via ai kiwi nelle acque di Auckland. Sarà una rivincita per Romano, dopo quell’oro strappatogli per un soffio da Joe nella finale di Londra. Ma per Joe sarà la seconda America’s Cup della sua carriera e la prima, nel 2017, l’ha addirittura vinta. Lui, raro esempio nello sport del remo, alto “appena” 1,81, capace di vincere anche due mondiali contro i giganti - nel senso di altezza - che popolano l’elite del canottaggio (basta vedere qui sotto la foto di quel podio olimpico): Sullivan, l’eccezione che conferma la regola che vuole che un canottiere non sia meno di 1,90 per avere chance di prestigiosi successi. Anche Battisti, oltre all’argento olimpico, ha vinto due mondiali Under 23. Un vero concentrato di potenza fisica, Romano e Joe: i loro kilowatt muscolari saranno decisivi nella battaglia che Luna Rossa e New Zealand dovrebbero affrontare dal 10 marzo (lockdown per covid permettendo), contendendosi il più antico trofeo sportivo del mondo. L’apporto di Romano e Joe sarà fondamentale. È la sfida di due barche, due team, due Paesi, ma sarà anche la loro sfida personale. La rivincita. Gli abbiamo chiesto, in quindici domande, come vivono questa sfida, tra passato e futuro. 

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L'INTERVISTA DOPPIA

Cosa ricorda di più della finale di Londra?

R.B.: «Della finale di Londra ricordo benissimo l’attacco che ho fatto a metà gara per passare in vantaggio, e poi quando sull’arrivo cercavo con lo sguardo mia moglie e mia figlia Lavinia che erano in tribuna a tifare per me».

J.S.: «Il ricordo più bello è l’incredibile velocità che abbiamo dovuto tenere dalla partenza all’arrivo: solo dopo il traguardo ci siamo accorti di aver vinto».

Ritrovarsi contro dopo 9 anni in un’altra finale, che sensazione dà?

R.B.: «Una sensazione che speravo di provare già anni fa, solo che Sullivan dopo Londra 2012 ha pensato bene di smettere con il canottaggio e non mi ha dato mai la possibilità della rivincita con i remi. Sono dovuto salire su Luna Rossa e venire a cercarlo fino a Auckland per vivere questa opportunità...».

J.S.: «Dopo tanti anni è fantastico ritrovare Romano come avversario in una finale di un altro sport: non credo che molti atleti ci siano riusciti».

Può essere considerata una rivincita?

R.B.: «È sicuramente una rivincita, la mia rivincita».

J.S.: «Sicuramente è una rivincita, anche se questa volta non dipende solo da noi, ma daremo entrambi tutto ciò che abbiamo per spingere la nostra barca a tagliare per prima il traguardo».

Giudicare un atleta come grinder è difficile, ma come canottiere cosa pensa del suo amico/rivale?

R.B.: «Nella vita bisogna essere prima uomini, poi atleti, poi canottieri: Joe ha tutte queste caratteristiche perché è un bravo ragazzo, ha una bella famiglia ed è un grande atleta. Quindi tanto di cappello, e batterlo sarà anche questa volta un’impresa difficile».

J.S.: «Ho un grande rispetto per Romano, so quanto sia difficile arrivare in finale alle Olimpiadi. E lui c’è riuscito in una gara incredibilmente dura».

Sente più pressione adesso o alle Olimpiadi?

R.B.: «Pensavo che la pressione che si vive alle Olimpiadi fosse insuperabile, ma dopo le ultime regate fatte qui penso che il livello di adrenalina sia identico».

J.S.: «Ho fatto molta pressione mentale su me stesso per avere successo quando remavo, e ora sto facendo lo stesso nella vela».

E' più faticosa una gara di 2000 metri di canottaggio o una regata come grinder?

R.B.: «Una gara di canottaggio è molto più faticosa».

J.S.: «Direi che remare è più faticoso perché usi ogni parte del tuo corpo.

Ma regatare non è facile: devi lavorare il più duramente possibile per tutta la regata».

Scambierebbe la medaglia di Londra con la vittoria dell’America’s Cup?

R.B.: «Sono passati nove anni, ho tante foto di quella gara, quindi potrei tenermi quelle come ricordo, mentre la medaglia la scambierei volentieri...».

J.S.: «Mai. Ho passato 12 anni della mia vita a prepararmi per arrivare alle Olimpiadi e realizzare un sogno. Ora sono qui, orgoglioso di aver avuto successo in entrambi questi sport».

Vela e canottaggio, gare sempre sull’acqua: quali differenze?

R.B.: «La velocità. E un’altra grande variabile: il vento».

J.S.: «Sono due sport che richiedono un grande sforzo, ma nel canottaggio ero solo con il mio compagno, nella vela sono l’ingranaggio di un enorme team di persone che lavorano insieme per far andare la barca il più veloce possibile sulla rotta migliore».

Quali sono gli aspetti più importanti, decisivi, in una regata di America’s Cup?

R.B.: «La barca certamente può fare la differenza. Ma tutto l’equipaggio deve funzionare come un’orchestra, nessuno può sbagliare una nota: c’è il direttore d’orchestra, che sono i nostri due timonieri, e chi fa meno errori la spunta».

J.S.: «Si dice sempre che a vincere l’America’s Cup sia la barca più veloce, ma nella Prada Cup l’imbarcazione che ha registrato la velocità più alta è stata la prima ad essere eliminata: quindi penso che sia importante bilanciare le prestazioni tra velocità e manovre».

Quali sono i punti di forza degli avversari? Cosa temete di più di loro? Hanno punti deboli?

R.B.: «I neozelandesi sono sicuri di essere velocissimi, ma per me tirano fin troppo la barca: è come andare su una macchina e portarla al massimo dei giri. Penso che siano più favoriti con tanto vento ma siamo curiosi di confrontarci per capire qual è il nostro limite. Secondo me loro hanno più punti deboli di noi, anche psicologicamente: noi non abbiamo nulla da perdere, sono loro che devono avere paura perché devono difendere la Coppa».

J.S.: «Non abbiamo paura, ma grande rispetto, perché sappiamo che il team italiano ha lavorato tanto quanto noi per raggiungere lo stesso obiettivo. In queste sfide non si può sottovalutare nulla. Luna Rossa è molto veloce e ha un equipaggio di livello mondiale quindi sarà difficile da sconfiggere».

Siete pronti o avete ancora da apportare modifiche alla barca?

R.B.: «Stiamo lavorando per guadagnare ancora qualcosa in velocità: anche solo uno 0,01% può essere decisivo, perché vogliamo giocarcela fino in fondo».

J.S.: «Noi di New Zealand siamo prontissimi e non vediamo l’ora di cominciare».

Quanto conta la squadra in questa sfida? Perché?

R.B.: «La squadra è fondamentale. In questi anni noi del team abbiamo vissuto a stretto contatto, passando quasi 14 ore al giorno insieme, e trovare un equilibrio tra tutti non è stato facile. Ma ci siamo riusciti grazie a Max Sirena che ha scelto le persone giuste, in grado di completarsi e dare il meglio in un contesto molto complesso».

J.S.: «Il team è tutto in questo sport, dall’equipaggio in barca ai costruttori e progettisti, tutti lavorano per mantenere questi gioielli della vela pronti a competere ogni giorno. Ci sono tanti ingranaggi che devono funzionare in modo perfetto per mantenere in movimento queste “macchine” del mare».

Pensava che Luna Rossa ce la potesse fare a vincere la Prada Cup?

R.B.: «Sì, l’ho sempre pensato, perché tecnici, ingegneri, tutti quelli che sono dietro le quinte ci hanno sempre sostenuto da terra con i dati: noi dovevamo soltanto confermare in mare quello che già conoscevamo sulla carta e cioè che la nostra barca poteva andare bene».

J.S.: «Tutti i challengers avevano grandi qualità, regatando bene in condizioni diverse, ma Luna Rossa si è decisamente distinta in tutto».

Chi parte favorito tra voi e loro?

R.B.: «Noi arriviamo alla sfida avendo regatato molto più di loro, e siccome la gara allena la gara, noi siamo sicuramente pronti per un match race. A vantaggio loro c’è la miglior conoscenza del campo di regata. Tutto sommato penso che partiamo alla pari».

J.S.: «Entrambe le squadre sono forti, e io ovviamente ritengo che Emirates Team New Zealand sia pronto per gare molto competitive».

In caso di vittoria come festeggerà con la sua famiglia?

R.B.: «Ancora non ci ho pensato perché sono scaramantico, ma sicuramente troverò un modo stupendo».

J.S.: «Penserò a festeggiare solo dopo aver vinto, ma sicuramente mi dedicherò alla mia famiglia: nel corso dell’avventura con New Zealand io e mia moglie Jordyn abbiamo avuto due bellissime bambine, e io ho dovuto spesso privarle della mia presenza. Se potessi ripagarle per questo sacrificio con la vittoria sarebbe un regalo speciale».

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