Jacobs si racconta:
«Parigi 2024? Voglio l'oro»

Jacobs si racconta: «Non sono un supereroe. Parigi 2024? Voglio l'oro»
Jacobs si racconta: «Non sono un supereroe. Parigi 2024? Voglio l'oro»
di Giacomo Rossetti
Venerdì 10 Giugno 2022, 21:43 - Ultimo agg. 12 Giugno, 09:31
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"La mia vita ora è più bella e più difficile". Lo dice col sorriso Marcell Jacobs, ospite al Circolo del Ministero degli Affari Esteri per la presentazione del suo libro, ‘Flash’. Il campione olimpico di Tokyo, reduce dalla delusione per la mancata partecipazione al Golden Gala a causa di un fastidioso infortunio muscolare, si è raccontato, esponendo anche alcuni lati della sua vita meno conosciuti.

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Marcell, amarezza del Golden Gala a parte, come sta fisicamente?

“Gareggiare è ciò che più amo fare, ma purtroppo non siamo dei robot, magari funzionasse tutto perfettamente. Cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno, forse avevo bisogno di riposarmi. Ormai lo stop forzato è quasi finito. Anche l'anno scorso era successo la stessa cosa prima delle Olimpiadi, speriamo porti bene… A Roma avrei voluto gareggiare, vedere le persone che mi acclamavano senza che indossassi le scarpe chiodate non è stato facile: mi sarebbe piaciuto sentirli all'arrivo ma proverò a farli emozionare di nuovo”.

Da dove nasce l’idea del libro?

“Volevo far capire il Marcell non-atleta, quello che non si vede in pista, la persona dietro lo sportivo. L’ho scritto anche per spronare i più giovani, non sono un supereroe. Ho passato qualsiasi situazione, per questo penso che se qualcuno si sente in difficoltà o è in difficoltà non è detto che non ce la possa fare. Le difficoltà e le delusioni mi hanno reso la persona che sono oggi”.

Cosa ricorda di quei momenti prima dello sparo nella finale dei 100?

“In camera di chiamata è venuto spontaneo fare l'in bocca al lupo a tutti i rivali, un po' per provocarli un po' per generare tensione. Erano un po' scossi, si chiedevano perché lo avessi fatto! Poi nove secondi e 80 passano veloci, all’arrivo ho festeggiato per la prima volta nella mia vita”.

Come è stato il suo rapporto con suo padre?

“Nella prima parte dell'infanzia stavo solo con mamma, non capivo quale fosse mia figura di riferimento. Poi in un altro periodo della mia vita volevo esaltare mio padre, ma dopo ho alzato un muro: mi dicevo, ‘perché dovrei farlo sembrare importante? Con la mia mental coach Nicoletta Romanazzi ho abbattuto questo muro; è stato importante ricontattare papà, non lo sentiamo tutti i giorni ma ciò mi ha fatto affrontare la vita senza buttare la polvere sotto il tappeto”

 

Suo nonno Osvaldo e il suo primo tecnico, Adriano, sono stati importantissimi per lei.

“Ho vissuto tanto a casa dei nonni, lui ha sempre creduto in me, nelle mie doti.

Mi chiamava ‘motoretta umana’: da parte della famiglia di mia madre sono tutti motociclisti, io la moto non ce l'avevo ma andavo dappertutto correndo e saltando. Adriano invece mi allenava quando facevo calcio: ero veloce, ma la gestione della palla era da rivedere... Vedendo come correvo mi propose di provare l'atletica, di cui era anche tecnico".

E il suo attuale coach Paolo Camossi?

"Mi è piaciuto subito a pelle, non ci ho pensato due volte a seguirlo a Gorizia. Mi ricordo quando a Tenerife mi fece cambiare la tecnica di partenza dai blocchi, da quel momento non abbiamo più perso! Siamo simili perché non siamo mai completamente soddisfatti, tanto che la sera stessa dell'oro di Tokyo ci siamo detti, 'Sì abbiamo vinto, però 9.79 suonava meglio..'".

Chi è stato di riferimento per lei come sportivo?

“Ho avuto tre idoli nella mia vita: il primo è stato Carl Lewis, che faceva salto in lungo e velocità come me, mi ricordo il suo poster con i tacchi ai spillo ai blocchi, con scritto ‘La potenza è nulla senza controllo’. Poi è venuto Andrew Howe, mulatto come me, mi rivedevo in lui, e alla fine Usain Bolt: riceve un suo messaggio dopo Tokyo è stato incredibile, mi ha scritto anche qualche tempo fa dicendo che sono il suo erede e che ho un bersaglio sulla schiena. Veder vincere Bolt mi ha spronato quando ero sempre infortunato”.

Bolt ha due ori nei 100 metri più di lei...

"Il mio obiettivo è vincere a Parigi, poi per la terza Olimpiade vediamo... in mezzo ci sono altri due Mondiali che sono importantissimi". 

Le piacerebbe se i suoi figli seguissero le sue orme?

"Li incoraggero, poco ma sicuro, poi ognuno di loro avrà un sogno, ma è giusto che sbaglino per capire la strada giusta. Io li accompagnerò in qualsiasi percorso, assecondandoli per le mie possibilità; giusto se scegliessero di fare i 100 metri mi preoccuperebbe un po' il paragone che la gente farebbe con me".

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