Moser: il Tour ad agosto non mi spiace
ma correre il Giro a ottobre...

Moser: il Tour ad agosto non mi spiace ma correre il Giro a ottobre...
di Pino Taormina
Domenica 19 Aprile 2020, 16:18 - Ultimo agg. 16:40
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«Lo sa come diciamo noi contadini? La pioggia di agosto rinfresca il bosco, quindi il Tour spostato di un mese non è un dramma». È un contadino particolare, Francesco Moser. E non ne fa un dramma per lo slittamento di due mesi del Tour de France (dovrebbe partire, adesso, da Nizza il 29 agosto e concludersi il 20 settembre) e a ottobre del Giro d’Italia (data prevista: 3 ottobre). Un fuoriclasse, Moser, che con le sue 273 vittorie in carriera è il ciclista italiano più vincente di sempre (tra queste un Giro, tre Parigi-Roubaix, la Milano-Sanremo, un campionato del mondo su strada e uno su pista). E nella vigna di Palù di Giovo e ovviamente sta pedalando tra un vigneto e l’altro.

Moser, il ciclismo non si ferma e dà delle date precise per la sua ripartenza.
«Un bel gesto di coraggio, una speranza che nel futuro immediato le cose possano andare meglio. Forse è un azzardo, ma è giusto aver riprogrammato le corse».

Il Giro d’Italia a ottobre lo avrebbe corso volentieri?
«Non è semplice per un ciclista doversi riprogrammare dopo tutte queste settimane. In quel mese, di solito, si pensa già alle vacanza, la stagione sta per concludersi. Ma ognuno se ne deve fare una ragione. Non ci si prepara a una grande corsa a tappe in poco tempo, la preparazione inizia in inverno. Ed è evidente che non correre a maggio creerà degli intoppi a tanti. Ma ripeto, bisogna reinventarsi e in tanti vi riusciranno. Appena si potrà tornare ad allenarsi, capiremo».

I rulli, le corse virtuali, possono aiutare a tenersi in forma?
«Non scherziamo, serve la strada. Serve sentire l’asfalto sotto i pedali, sentire la salita, vederla. Così ci si allena».

La nostalgia la prende ogni tanto?
«No, però domenica sono rimasto incollato a vedere lo speciale di Raisport sui miei trionfi alla Parigi Roubaix. Se penso che sono passati 40 anni da quell’ultima vittoria...».

Su quel pavé terribile lei diventava imbattibile.
«Non avevo paura dei sassi, delle curve, di cadere. La prima, quella del 1978, resta il ricordo più bello, anche perché per due volte ero arrivato secondo. E avevo in squadra il più forte di tutti, Roger De Vlaeminck. Uno che potevi battere in un solo modo: senza fare calcoli, andando più forte di lui».

Quelle pietre, la Foresta di Arenberg e quelle salite sono nulla rispetto alla paura per il coronavirus di questi tempi?
«Provo a non pensarci, sono prudente, attento d’altronde il prossimo anno compio 70 anni. Mi aiutano i vigneti, la mia campagna. Evito i contatti ma sono preoccupato perché il vino non si vende, le bottiglie non possono essere distribuite e spero che questo blocco duri ancora poco».

Le classiche verranno recuperate in autunno.
«Si, lo so. Sarà diverso, il clima e tutto, ma sarà un segnale di normalità rivedere i ciclisti sulle bici».

Il Tour tra agosto e settembre?
«Non cambia tanto, a luglio in Francia si muore dal caldo, si soffoca in certe tappe e il clima mite aiuterà i corridori in certi tapponi. Sotto il profilo climatico è il Giro a ottobre la cosa più strana da pensare. Ma se è l’unico modo per non cancellarlo, hanno fatto bene».

Difficilmente partirà dall’Ungheria, però.
«Lo penso anche io. Ma tutto dipende dagli accordi degli organizzatori. Anche se anche i medici dovranno esprimere il loro parere. L'idea di una partenza in Sicilia non mi dispiace».

La campagna l’ha aiutata a divenire “lo sceriffo” del ciclismo e la sta aiutando anche adesso.
«Io in mezzo alle vigne ci sono nato, le gare in bici sono venute dopo. Mio padre faceva questo mestiere quando era ancora una fatica tremenda, tutto lavoro manuale, si andava dentro i tini di legno a piedi scalzi e si schiacciava l’uva. Io mi sono fatto le ossa lavorando in cantina. E ho imparato che i successi non vengono per caso. Vanno costruiti pezzo per pezzo, ogni giorno, e soprattutto conquistati rischiando, osando con coraggio».

Ora ci vuole coraggio a pensare alle corse?
«Un po’ sì. Ma ci vuole coraggio a pensare al futuro. Ma non bisogna fermarsi: nei prossimi giorni inizio a imbottigliare il mio spumante 51.151 e lo faccio sperando che questo virus possa rapidamente sparire».

Quell’indimenticabile record del mondo a Città del Messico. Fu un 1984 epico per lei.
«Sì vinsi anche il Giro dopo un duello con il francese Laurent Fignon che ancora tutti ricordano per la crono di Verona. Devo ammettere che non me la cavai male in quella stagione...».

La pandemia metterà in crisi il ciclismo?
«Soffrirà come tutti i settori ma ripartirà. Spero che si tenda una mano anche a quei ciclisti non hanno la fortuna di guadagnare tantissimo. Se i big si tagliano lo stipendio non è un problema».

Quali i corridori che più le piacciono?
«Devo dire che Valverde mi ha sempre appassionato. E tra gli azzurri c’è Filippo Ganna che sta andando fortissimo in pista e credo che possa pensare al record del mondo».
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