Patrizio Oliva volontario al confine:
«Gli ucraini da medaglia d'oro»

Patrizio Oliva volontario al confine: «Gli ucraini da medaglia d'oro»
di Francesco De Luca
Mercoledì 30 Marzo 2022, 07:00 - Ultimo agg. 31 Marzo, 09:43
4 Minuti di Lettura

Oggi abbracceranno cento profughi ucraini. «Donne e bambini che scappano dall'orrore inseguendo una speranza». Patrizio Oliva, 63 anni, napoletano, campione olimpico e mondiale di pugilato negli anni Ottanta, è a Siret, città romena al confine con l'Ucraina. Fa parte della delegazione dei corrispondenti diplomatici di Malta, arrivata qui per portare generi di prima necessità e trasportare ucraini su due pullman in Italia. «Siret è soli 40 metri dall'inferno».

Video

Patrizio, perché ha deciso di intraprendere questo viaggio nel dolore?
«Per fare sapere a coloro che soffrono che noi stiamo con loro. Pronti ad affrontare un viaggio in pullman di 37 ore, senza sosta fino a stasera (ieri ndr) , per raggiungere il confine e poi cominciare il viaggio di ritorno in Italia. Con cento ucraini, che saliranno sui bus dopo i tamponi. C'è un piano di accoglienza e sarà coinvolta anche Napoli».

La sua città, una capitale della solidarietà.
«Ho ricevuto una telefonata dall'assessore comunale al Welfare, Luca Trapanese. Si è messo a disposizione con il centro di prima accoglienza allestito presso la Mostra d'Oltremare. I napoletani in questa spedizione sono due, io e Antonio Cirillo, che vive da tempo in Toscana. Ci sono il governatore dei corrispondenti di Malta, Catello Marra, e l'ex senatore Antonio Razzi».

Quando lei è entrato in questa associazione umanitaria pensava un giorno di dover arrivare ai confini di un Paese in guerra per aiutare chi scappava dai bombardamenti?
«No. E questo perché la guerra è qualcosa che dovrebbe essere lontanissimo da noi, dalla nostra epoca e dalla nostra mentalità. E invece siamo ripiombati nel buio. Purtroppo il passato non ha insegnato nulla. Ci siamo detti che non potevamo restare a guardare e siamo saliti sui due pullman».

La sua famiglia come ha preso questa iniziativa?
«Ne abbiamo parlato e le perplessità sono subito scomparse. Una delle mie figlie è stata in Africa in aiuto delle povere popolazioni, sappiamo cosa è la solidarietà.

Pochi giorni prima di partire avevo accolto nella mia palestra a Soccavo otto bambini ucraini. La porta di PalExtra, che gestisco con Diego Occhiuzzi, campione di scherma, sarà sempre aperta per loro. A Napoli sappiamo cosa è la solidarietà. Per la prima volta mi confronto con chi fugge da una guerra, abbandonando la sua casa e la sua storia, ma da sempre non ho guardato soltanto al ring, ai match che mi hanno portato in cima al mondo».

In che senso?
«Io sono partito dalla periferia di Napoli, casa mia era in via Stadera a Poggioreale. Raggiungevo tutti i giorni a piedi la palestra nel centro storico, ho imparato presto cosa è il sacrificio. Da sempre sono vicino ai ragazzi di Napoli perché lo sport dà una possibilità. L'ho spiegato bene negli incontri con quelli che sono nell'istituto di Nisida».

E lo sport può aiutare anche i giovani profughi ucraini?
«Sì, è un valore importante e sarà di supporto in questi mesi, almeno finché per queste famiglie non si inizierà il viaggio di ritorno nella loro terra. Perché prima o poi dovrà cominciare».

Tanti sportivi hanno imbracciato il fucile e sono scesi a combattere.
«Wladimir e Vitali Klitschko, quest'ultimo sindaco di Kiev. E poi Oleksander Usik e Vasiliy Lomachenko. Parliamo di grandi campioni del pugilato. Sono usciti dalla loro vita normale e hanno preso le armi. Difendono la bandiera con coraggio. Sono loro gli eroi, non noi che siamo arrivati qui soltanto per dare una mano a un popolo all'improvviso piombato in un incubo».

Il 2 agosto del 1980 lei vinse a Mosca l'oro olimpico: quella di allora era una guerra fredda.
«Sì, vi fu il boicottaggio dei Paesi occidentali perché altissima era la tensione tra gli Stati Uniti e l'Urss. Noi partecipammo sotto l'insegna del comitato olimpico, non dell'Italia. In finale vinsi contro l'idolo di casa, Serik Konakbayev. E nel palazzetto ascoltai applausi dei tifosi russi. Rispettarono l'avversario. Lo sport ha sempre annullato le distanze e respinto le contrapposizioni».

Questo viaggio a Serit è la più bella medaglia della sua vita?
«Le medaglie le meritano questi uomini ucraini che stanno combattendo per la libertà o che soffrono a tanti chilometri di distanza dalle loro famiglie. Io spero che questa guerra possa essere alla fine una lezione per tutti e far crescere lo spirito di solidarietà, lo stesso che ha accompagnato la nostra squadra nel viaggio a Serit: non vediamo l'ora di abbracciare questi nuovi amici». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA