«Angelo, da quanto tempo fai questi viaggi per la Caritas?». Erano a metà della strada da Drohobych a Napoli quando una donna di Kharkiv ha fatto questa domanda. «Cosa le ho risposto? Che era il mio primo viaggio e che faccio il maestro di tennis». Il viaggio nel dolore di Angelo Chiaiese e Paolo Conte per trasportare dodici profughi sistemati presso la Caritas di Drohobych. Loro fanno parte della grande e bella famiglia del Tennis Club Napoli, lo storico circolo della Villa comunale, e hanno raggiunto l'Ucraina a bordo del pullmino sociale messo a disposizione dal presidente Riccardo Villari. «Abbiamo fornito l'automezzo, alcuni soci hanno offerto medicinali e altro materiale, entusiastico il sostegno a un progetto di concreta solidarietà di Chiaiese e Conte», spiega il numero uno del club. L'idea era venuta così al maestro Angelo: «Vedevo in tv le scene di disperazione e chiedevo a me stesso cosa si potesse fare. Io non mi considero un uomo di chiesa, però mi sono rivolto a don Elio Santaniello, che nella sua parrocchia di Monterusciello si è mobilitato fin dai primi giorni della guerra. Il circolo ha messo il pullmino a disposizione e siamo partiti».
Due pullmini (l'altro allestito dai parrocchiani di Monterusciello) carichi di generi di prima necessità, dai viveri ai medicinali, sistemati sui seggiolini che avrebbero poi accolto i dodici profughi per il viaggio. Le gomme da neve montate in fretta, il lungo percorso senza soste fino al confine tra Polonia e Ucraina. A 7 chilometri dalla frontiera la telefonata di padre Elio mentre montava l'umanissima paura osservando i check point, le strade distrutte, le campagne dove vi erano fuochi accesi dalle bombe. «Non fermatevi: ci sono quelle persone che vi aspettano». Via i timori. Nel cuore di Angelo, Paolo e degli altri partiti da Napoli c'è stata soltanto la voglia di fare in fretta. «Ma era impossibile correre sui pullmini tra controlli degli ucraini e timori di attacchi: ci abbiamo messo quattro ore per fare 80 chilometri», dice Angelo.
Paolo ha fissato le immagini del centro di accoglienza: «Dove si univano la dignità di quelli che non hanno più niente e il mondo che si è mobilitato per loro.