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Magic è sempre Magic: 30 anni fa
l’annuncio che cambiò il mondo

Basket, Trent anni fa l annuncio che cambiò il mondo. Ma è ancora... Magic
Basket, Trent’anni fa l’annuncio che cambiò il mondo. Ma è ancora... Magic
di Giacomo Rossetti
Articolo riservato agli abbonati
Domenica 7 Novembre 2021, 07:00 - Ultimo agg. : 8 Novembre, 09:15
3 Minuti di Lettura

Trent’anni, e sono volati. Era il 7 novembre del 1991, George Bush Senior era presidente degli Stati Uniti e i Chicago Bulls di Michael Jordan campioni Nba in carica. Il re di Los Angeles era un uomo dal sorriso perenne, un playmaker con un fisico mai visto che aveva fatto sognare i tifosi dei Lakers per dodici anni, con cinque titoli e magie a non finire. Apple TV + distribuirà nel 2022 una miniserie documentario in quattro puntate su di lui, ripercorrendo i momenti salienti della carriera di quello che è stato più di un semplice atleta. Quel re si chiamava Earvin Johnson, o più semplicemente Magic, e il 7 novembre 1991 abdicò al trono. 

«Sono sieropositivo, ma questo non significa che la mia vita sia finita», le sue parole tristi nella conferenza al Los Angeles Forum davanti ai giornalisti raggelati. Eh sì, perché l’Aids trent’anni fa faceva molta, molta più paura di adesso. Era lo spettro di fine secolo, una malattia che nei soli Stati Uniti aveva già mietuto centomila vittime e che si era scoperto non colpire solo omosessuali e tossicodipendenti, ma anche atleti all’apparenza invincibili, come Magic. «Devo ritirarmi dall’attività agonistica»: una notizia brutale, che l’eterno amico-rivale di Johnson, l’asso dei Boston Celtics Larry Bird, aveva avuto in anticipo al telefono.  

Molti all’epoca fecero a Magic un funerale anticipato, ritenendo che il numero 32 gialloviola non sarebbe sopravvissuto a lungo. Ma lui, che nel 1991 aveva 32 anni, iniziò a curarsi e dimostrò una forza d’animo titanica: «Dedicherò la mia vita a sconfiggere questa malattia», la promessa fatta accanto al commissioner Nba David Stern e al compagno di tanti trionfi, Kareem Abdul-Jabbar. Sembrava retorica, si rivelò realtà. Il 9 febbraio del 1992, all’All Star Game di Orlando, c’era anche Magic Johnson, che nonostante l’annuncio choc di tre mesi prima era risultato ugualmente il quarto giocatore della Western Conference più votato dai tifosi. E sebbene tanti giocatori avessero paura di esser contagiati dal fenomeno del Michigan (uno dei più scettici era Il Postino Karl Malone) e chiedessero di non farlo partecipare, Magic giocò. Una partita strabiliante, tra l’altro: 25 punti, 9 assist e 5 rimbalzi in meno di mezz’ora. Un primo schiaffo all’Aids, e il secondo fu ancora più fragoroso: alle Olimpiadi di Barcellona di quell’estate, al Dream Team di Jordan, Bird e co. prese parte pure Johnson, al canto del cigno. La squadra più forte di sempre non sarebbe stata tale senza di lui, dodici volte All Star e tre volte Mvp delle Finals.

Lo scorso 14 agosto Magic ha spento 62 candeline. Un traguardo irreale, per le cognizioni mediche di inizio anni Novanta. Eppure lui è ancora lì, a capo della Magic Johnson Foundation, creata appena dopo l’annuncio della positività per raccogliere fondi da destinare alla lotta all’Aids. È sempre lì, a sensibilizzare i giovani sul tema dell’Hiv, e dal 2006 grazie al programma “I stand with Magic” ha fornito gratuitamente decine di migliaia di test per il controllo della sieropositività. Il più grande successo dell’ex playmaker però è un altro: aver fatto parlare di sè non come di un malato, ma come di una leggenda vivente oltre che un imprenditore di successo. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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