Arrigo Sacchi spinge il Napoli:
«Si vince con la testa»

Arrigo Sacchi spinge il Napoli: «Si vince con la testa»
di Pino Taormina
Domenica 2 Gennaio 2022, 08:00 - Ultimo agg. 3 Gennaio, 09:10
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«Arriva o non arriva primo, il Napoli e De Laurentiis lo scudetto meritano di metterselo al petto. Perché vincere con i debiti, come fanno in tanti, è uguale a barare. Solo da noi si fa finta di nulla ma non è giusto, è insopportabile continuare a mandare giù delle cose simili». Arrigo Sacchi ha cambiato il calcio, ha lasciato la sua impronta. È uno dei maestri indiscussi di questo sport e in questo 2022 si augura l'Italia al Mondiale e un campionato dove i tecnici mettano al centro di tutto il gioco. 

Cosa si può fare per far rispettare le regole del fair play finanziario?
«Ne ho parlato con Infantino, il presidente della Fifa. Gli ho detto: amo il calcio e voglio che ci sia un futuro. Vengo dal mondo della piccola industria e ai miei tempi chi non onorava i propri impegni economici, indebitandosi oltremisura, alla fine falliva. Perché non succede così? Alla fine ovvio che tutti vogliono giocare di più, perché hanno bisogno di più soldi, senza rispetto dei calciatore e dello spettacolo. Perché ha ragione chi si lamenta: se giochi ogni tre giorni non è più uno sport, non è più divertimento, non è più gioia ma diventa tutto insopportabile. E il risultato è che ci sono troppi infortuni. Avanti di questo passo, le squadre si allargheranno, i costi aumenteranno ancora di più e lo spettacolo non ne trarrà benefici».

Per questo hanno introdotto i cinque cambi.
«Altra cosa che non si può mandare giù. E chi ne trae vantaggio? Ovviamente chi ha la rosa più lunga, ovvero i club sulla carta più ricchi che poi nella realtà sono quelli che si sono indebitati di più, che non badano a spese e non si preoccupano di dover fare i conti prima o poi con qualcuno».

Però è un sistema che pure vede i calciatori guadagnare cifre enormi, non trova?
«È sempre stato così. Al grande Nereo Rocco calcolarono che con il premio della Coppa dei Campioni vinta con il Milan nel 1963 avrebbe potuto costruire un grattacielo di una decina di piani. Quindi, i soldi sono stati sempre tanti per i protagonisti del calcio».

Quindi se Insigne dovesse accettare l'offerta del Toronto non si stupirebbe?
«Ma mi dispiacerebbe da morire. Per lui, per il Napoli, per il calcio italiano. È un giocatore di talento, a più di un allenatore ho consigliato di puntare su di lui. È sempre mancato in continuità, ma in serie A ce ne sono pochi con il suo talento».

Nel 2022 il Napoli lo scudetto lo può vincere sempre e solo per i bilanci?
«Sul campo è la solita storia. C'è un gap che non è stato colmato con l'arrivo di Spalletti. Ed è legato anche all'ambiente. Quante polemiche che ho sentito per la sostituzione di Mertens nell'intervallo della gara con lo Spezia. Ma che sciocchezze sono? Ditemi qualche calciatore che sia contento quando viene cambiato e non si lamenta. Solo che a Napoli diventa occasione per criticare, mettere ogni cosa in discussione mentre a Milano o Torino difficilmente sarebbe uscita fuori una cosa del genere. Però, per me, resta la regola di sempre: il gioco viene prima dei giocatori, così come un club viene prima di tutto».

Il salto di qualità si può ancora fare?
«Certo. Ma il punto di partenza è nella testa. Si lamentano i singoli se giocano o se vengono sostituiti, per questo o per quello. Ma quelli che giocano nel Napoli dovrebbero porsi una sola domanda: C'è un motivo per cui non ho vinto nulla o poco di importante e di prestigioso nella mia carriera?. Perché di bravi ce ne sono tra gli azzurri, ma non mi pare che chissà che collezione di coppe o di campionati abbiano i vari Osimhen, Koulibaly, Mertens, Insigne e così via.

Ecco, mi viene in mente cosa mi disse Cuccureddu a inizio degli anni 80 parlando della sua Fiorentina di Antognoni, Passarella, Bertoni: Se questa squadra giocasse a Torino vincerebbe uno scudetto dopo l'altro. Aveva ragione perché spesso l'ambiente è fondamentale».

Il Napoli giovedì affronta la Juve con solo la metà e poco più dei titolari indisponibili.
«Ecco, altri alibi. Non vanno bene. Giocammo a Barcellona la finale di Supercoppa europea senza Baresi, Donadoni, Ancelotti e Gullit. Nel volo di andata ci fu un vuoto d'aria impressionante, avemmo tutti una grande paura e ne parlò anche il tg della sera. Carletto mi chiamò e disse: Eravate talmente in pochi che se cadeva l'aereo manco in prima pagina finivate».

Perché questa frenata del Napoli?
«Torniamo ai malanni degli ultimi anni: il Napoli non ha l'abitudine a vincere e alla fine si cade sempre in quella che chiamo trappola del successo: ci si convince dopo una vittoria importante che vincere sia la cosa più semplice del mondo. Ma non lo è. La vittoria si costruisce con il lavoro della settimana, con la mentalità, costruendo l'abitudine al successo. Se vinci, il giorno dopo devi allenarti e impegnarti ancora di più. È un pericolo che incombe su chi non ha questa abitudine alla vittoria: e allora succede che batti il Milan a San Siro meritatamente anche per la qualità del gioco e la personalità e poi tre giorni dopo cadi in casa con lo Spezia. Ed è un po' anche la maledizione che ha colpito la nostra Nazionale: ha vinto con merito l'Europeo, ha conquistato il titolo mostrandosi superiore agli altri. Ma poi c'è stato il contraccolpo».

Spalletti contro Allegri. Un bel duello?
«Luciano da solo non può fare nulla. Il suo calcio è positivo, mi piace l'approccio, è davvero un buon allenatore: mi colpisce la sua tenacia, la sua determinazione a mettere la squadra prima del singolo. Ma alla fine è la storia dei club a fare la differenza. Alla Juventus stanno pagando l'usura in questo momento, per la prima volta non hanno un attaccante come Ronaldo o Higuain che se la squadra gioca bene o male, il gol lo fa sempre, se lo inventa. Non so se al posto di Massimiliano sarei tornato. Io l'ho fatto solo una volta, ovviamente al Milan. Sbagliando».

Come finisce questo campionato?
«L'Inter mi sembra più squadra di tutte in questo momento della stagione, ma sono curioso di vederla all'opera con il Liverpool che con le riserve ha dato lezione al Milan a San Siro».

E questo Napoli?
«Osimheh e Koulibaly sono assenze importanti, ma mi pare che il calo sia stato un po' di tutti. Ma tutto dipende dall'ambiente che non è mai stato positivo, è troppo facile da sgretolarsi da quelle parti. Sennò Colombo in tre anni al Milan non avrebbe vinto più di Maradona in sette anni al Napoli».

E lei in sette anni al Napoli cosa avrebbe vinto?
«Il ds di allora Perinetti e Diego mi chiamarono. Mi volevano. Maradona mi disse: Con me e Careca parte da 1-0 a ogni partita. Gli dissi: Hai ragione, ma se siete infortunati?. Io e il Milan dobbiamo tanto alla rivalità con quel Napoli straordinario: sapevamo che per vincere contro la squadra con il più forte al mondo, dovevamo dare il massimo in ogni cosa, in ogni allenamento. E solo così, grazie a quel dualismo, che diventammo il Milan degli invincibili».

Ci pensa qualche volta ai rigori negli Stati Uniti?
«Certo. Ma non è mai stato un rimpianto. Alla fine siamo arrivati secondi. Un giorno incontrai un idraulico che mi rimproverò per la finale persa a Pasadena. Gli dissi: Ma se nella classifica mondiale lei venisse considerato il secondo miglior idraulico del pianeta lei sarebbe contento o no?».

Fermerebbe la serie A per il Covid?
«Se i contagi non aumentano e i pericoli possono essere gestiti, io non rinvierei le partite». 

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