Berardi, ragazzo di Calabria che gioca in controtempo

Berardi, ragazzo di Calabria che gioca in controtempo
di Andrea Sorrentino
Domenica 13 Giugno 2021, 07:30
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Domenico gioca come pensa, dunque come vive: in controtempo. Oppure coi suoi tempi, direbbe lui. La sua finta con esitazione è stato il tema tecnico della partita contro la Turchia, l’apriscatole che ha apparecchiato il 3-0, perché Domenico Berardi ha cercato dribbling e uno contro uno fin dall’inizio, come sa, come sempre, come capita a sempre meno giocatori del pianeta Papalla, e dentro quell’ottimismo ostinato e contrario c’è il suo modo di interpretare il calcio e la vita. Come nella finta con cui prepara il cross per l’autogol di Demiral: impercettibile movimento delle spalle che vanno di qua, il difensore abbocca, Berardi va di là ed è ormai tardi per prenderlo. 
TITUBANTE
Gli altri di qua e lui di là, un suo classico in campo e fuori. Nel basket la chiamano finta con hesitation, Toni Kukoc ne era professore. Hesitation si traduce con esitazione, ma anche con titubanza o insicurezza, magari per custodire meglio i propri talenti e spenderli al momento giusto: stati dell’anima di cui Mimmo è esperto navigatore. Infatti è a quasi 27 anni che vive la sua esplosione internazionale, entrando in tutti e tre i gol dell’Italia all’esordio europeo. Per qualcuno sarebbe tardi, per lui no. Ci è arrivato per gradi, come se l’è sentita, come gli è venuto. 
GIÙ AL SUD
A 20 anni rifiutò la chiamata di Allegri alla Juventus, e mica perché da bambino era interista. Solo stava bene al Sassuolo, ci si sentiva protetto e al calduccio come nel suo paese sulla Sila, Bocchigliero, e quello sradicamento, quel salto in mezzo a lustrini e partitone, quelle responsabilità già enormi, gli parvero premature, scomode, insidiose, e chi se ne importa dell’ingaggio. A dire il vero la Juve l’aveva rifiutata pure a 12 anni, quando gli scout scovarono questo piccolo fenomeno calabrese e lo volevano portare a Torino. Lui preferì l’aria di montagna e di casa, forse ci vediamo un’altra volta. Ma il demone del calcio chiedeva il suo dazio, e si sa che se vivi nel sud profondissimo salire bisogna, se vuoi cercare il successo o semplicemente per silenziare il demone, che tanto urlerà sempre. Così Mimmo va al nord, perché ha un fratello che vive a Modena: “Lui è quello che ha studiato”, dice sempre, con ammirazione. E quando ha 15 anni lo notano quelli del Sassuolo mentre gioca a calcetto. Tutto coi suoi tempi, sempre. Al Sassuolo trova Di Francesco che sarà padre e fratello, sente aria di casa ed ecco dunque la serie A. Ma il carattere timido e sensibilissimo, le difficoltà a volte anche solo nel comunicare, gli creano problemi, muri fuori e dentro, e provocano sciocchezze varie, come il rifiuto di una convocazione nell’under 19 azzurra senza spiegazioni, o quel non controllare la rabbia, le reazioni isteriche: nei primi tre anni di A è il giocatore in assoluto più ammonito. Però che talento, che giocatore cresce e matura con De Zerbi, mentre Difra prova a portarlo alla Roma, invano. 
LA MATURAZIONE
Ora è un attaccante totale, internazionale, con intensità agonistica e letture tattiche, e il destro che spesso è come il sinistro.

Sente la partita e l’avversario, rimuove il fallimento di un dribbling venuto male ed è di nuovo ottimista l’azione dopo. Dice di avere Robben come idolo. A noi ricorda Chris Waddle, artista inglese anni ‘80-’90, anima lunga pure lui e mancino che giocava a destra pure lui, sterzate e genialità come quelle di Mimmo nostro. Un calabrese in azzurro, come Fiore, Gattuso, Perrotta e Iaquinta. Mica male.

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