Morto Boniperti, Ferlaino ricorda:
«Mi chiamò infuriato dopo la Uefa»

Morto Boniperti, Ferlaino ricorda: «Mi chiamò infuriato dopo la Uefa»
di Pino Taormina
Sabato 19 Giugno 2021, 09:05 - Ultimo agg. 24 Marzo, 06:12
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«Di battaglie insieme ne abbiamo fatte quando eravamo insieme in Consiglio federale, per almeno cinque anni alla fine degli anni Ottanta. Ricordo le lotte per spartirci in serie A i pochi spiccioli che arrivavano dalle sponsorizzazioni. Lui aveva un bel carattere, era l'uomo a cui la famiglia Agnelli aveva messo in mano la Juventus. E devo dire che per mia fortuna, pare che non avesse ritenuto Maradona all'altezza del club bianconero. Così l'ho preso io qualche anno dopo». Corrado Ferlaino è stato presidente del Napoli e rivale per almeno un ventennio di Gianpiero Boniperti.


Ingegnere Ferlaino, c'era grande rivalità?
«Sì, ma in realtà in tutti quegli anni ho avuto degli scontri con lui solamente due volte. La prima dopo la nostra vittoria in Coppa Uefa quando al San Paolo abbiamo ribaltato il 2-0 dell'andata. Mi chiamò infuriato, dicendo che certi scherzi la Juventus non li poteva tollerare e che non li avrebbe mai più tollerati. Io non so neppure a quale scherzo si riferisse ma forse al fatto che Renica aveva segnato all'ultimo minuto dei tempi supplementari... Devo dire che rimase assai freddo con me».

E la seconda volta?
«Nell'aprile del 1990, per l'episodio della monetina di Bergamo e la nostra vittoria a tavolino. Un altro po' era più nervoso lui che quelli del Milan, che pure erano nostri avversari diretti nella corsa allo scudetto. In Consiglio federale prese una netta posizione contro di noi ma io che ci potevo fare se quella era la norma? Poi fu cambiata anche su sua insistenza».

Affari con lui, pochissimi?
«Direi nessuno.

Perché Altafini andò alla Juventus approfittando del fatto che per due mesi mi ero stancato di guidare il Napoli e lasciai l'incarico a Ettore Sacchi. Fu lui a dare la lista ad Altafini che io non avrei mai dato e chissà, forse lo scudetto nel 1974 lo avremmo vinto noi».

Cosa è stato Boniperti per il calcio italiano?
«Boniperti era la Juventus, ne creò uno stile. C'era poco da fare. Era il simbolo, la leggenda. Poi si sapeva che quello che diceva era legge: vero, c'era Giovanni e Umberto Agnelli, ma nell'ambiente non ho mai sentito una sola volta che una decisione presa da Boniperti venisse poi rimangiata dall'avvocato. Era un calcio d'altri tempi, in questo senso».

Cosa le piaceva di più?
«Il fatto che potesse occuparsi della Juventus al 100 per cento. Io, ma anche tanti presidenti di quei tempo, seguivo la squadra part time, nel tempo libero, perché erano gli anni in cui ero impegnato nella costruzioni: il centro direzionale, il palazzo della Provincia, il nuovo tribunale. Lui invece era anima e corpo per la sua Juventus di cui era stato anche una bandiera in campo».
 

In comune avete avuto un grande dirigente, Italo Allodi.
«In realtà Allodi ci fece litigare, proprio perché mi strapparono Dino Zoff. Io non l'avrei mai venduto, solo che approfittarono sempre della mia pausa alla presidenza».


Lui juventino, lei napoletano. Difficile andare d'accordo?
«Non siamo mai riusciti a vedere una partita insieme, anche quando ci incrociavamo era solo per un saluto rapido, senza neanche un caffè. Mi spiace per la sua scomparsa».


Lo ha mai ringraziato per non aver preso Maradona?
«Non ho avuto mai modo di chiedergli se fosse vera la leggenda che lui non ritenesse Diego all'altezza della Juventus. Non è che me ne importasse poi tanto e in fondo avrei solo dovuto dirgli grazie».

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