Piccinini: «La Serie A è il top e io non sono ancora in pensione». Il telecronista si racconta: dall'amore per Sivori, al primo "Proprio lui"

Sandro Piccinini
Sandro Piccinini
di Romolo Buffoni
Mercoledì 13 Maggio 2020, 06:00 - Ultimo agg. 20 Maggio, 15:14
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Quindici luglio 2018, a Mosca la Francia batte 4-2 la Croazia e vince la sua seconda Coppa del Mondo nel Mondiale del dolore azzurro. L'Italia non c'è, eliminata agli spareggi dalla Svezia, come accadde solo nell'edizione del '58 (in Svezia, corsi e ricorsi...). Mondiale da guardare in tv, quindi. E dopo averci raccontato di Pogba, Mbappé e Deschamps trionfatori, Sandro Piccinini (62 anni compiuti il 17 aprile) spense il suo microfono: addio a Mediaset dopo 34 anni di telecronache 'ccezionali.
 
Piccinini, dove ha trascorso la quarantena?
«Quando è stato chiuso tutto non mi trovavo a Londra, dove stavo andando spesso, ma a casa a Milano per fortuna. Ho una terrazza baciata dal sole, dove posso leggere e abbronzarmi».

E' così che si gode la pensione?
«Alt. Io non ho mai parlato di pensione, ma di anno sabbatico. Anche se ormai stanno diventando due».

Attenzione pericolo! Piccinini rischia di restare senza squadra?
«Avevo bisogno di una sosta dopo quarant'anni di lavoro fatti praticamente tutti di un fiato. Ho ricevuto diverse proposte, ma deve arrivare ancora quella giusta. Dopo 30 anni di matrimonio (con Mediaset, ndr) non si può andare con la prima che capita».

Quindi? Non va!
«Presto per dirlo. Con il nuovo bando dei diritti tv e l'ingresso di nuovi soggetti vediamo cosa succede».

Si riferisce al Fondo Cvc che, a quanto pare, è interessato a mettere in piedi il canale tv della Lega?
«Le voci sono tante. Diciamo che il calcio italiano è molto ambito, checché se ne dica. I presidenti che lo popolano sono personaggi con luci e ombre, ma il prodotto piace sempre e poi l'arrivo di Cristiano Ronaldo ha ridato slancio».

Campionato che, però, rischia di saltare definitivamente per l'emergenza Covid-19. Pronostico?
«Per decidere sulla riapertura serve un discorso politico, un'assunzione di responsabilità come ha fatto la Merkel in Germania. Il rischio zero mi sembra chiaro che non esista, ma bisogna fare un tentativo e se dovessero manifestarsi cento contagi fare un passo indietro».

Fra i cinque maggiori tornei europei come colloca la serie A?
«E' sicuramente da podio, dietro l'inarrivabile Premier League e dopo la Liga. Ma siamo sicuramente davanti alla Bundesliga. La serie A ha ampi margini di miglioramento e credo che la scelta di mettere a capo della Lega un manager con un curriculum pazzesco come Paolo Dal Pino vada nella direzione di far recuperare terreno al nostro campionato».

Che, però, rischia di essere travolto dalla crisi post-coronavirus...
«Difficile dirlo. In tutti i campi sono previsti crolli. Oggi è tutto fermo e tutti gli scenari foschi sono possibili, ma la verità è che non abbiamo certezze. E se fra un mese questo virus sparirà? Il danno anche per il calcio c'è ed è oggettivo, ma un conto è se lo stop sarà di due mesi e mezzo, un altro se sarà più lungo».

Sta per arrivare una sciabolata?
«Voglio dire che sono previsioni basate sul nulla. Questo virus non lo conosce nessuno. Con i discorsi fatti in tv da virologi e scienziati prima della pandemia ci si potrebbe fare una striscia comica...».

Il calcio tornerà (forse) ma senza pubblico (sicuramente). Sarà sempre più uno spettacolo televisivo?
«E questo è il guaio. Perché il pubblico serve. C'è una differenza enorme nel trasmettere una partita con i tifosi sugli spalti e senza. Starà al regista saper "scaldare" un po' il prodotto, lavorando sui rumori di fondo. Detto questo, il tifoso Roma-Lazio se lo vede lo stesso. Ne risentirà la qualità, non l'audience».

E anche i telecronisti saranno costretti ad adeguarsi abbassando i decibel non trova?
«Certo, giustissimo. Un conto è raccontare un gol sopra l'urlo di 70 mila spettatori e un altro è farlo senza. I colleghi dovranno senz'altro adeguarsi».

Lei non si regolò per quel gol di Inzaghi, il 3-2 di Milan-Ajax di Champions del 2003. Un urlo degno del Tardelli Mundial...
«Sì devo ammetterlo, gridai parecchio. Ma c'erano tanti motivi per farlo. Innanzi tutto il valore del gol: fatto nel recupero e che valse la qualificazione alla semifinale. Poi l'autore della rete, Pippo Inzaghi capace di trascinare chiunque, nonché amico personale. Infine una questione di tifo...».

Cioè? Ci sta rivelando la sua fede rossonera?
«Ma no. Tifavo per me e per Aldo Serena (seconda voce della telecronaca, ndr)».

In che senso?
«A Mediaset l'allora direttore Ettore Rognoni aveva stabilito la regola dell'alternanza per le telecronache delle finali di Champions tra me e Bruno Longhi. Quell'anno toccava a me e visto che c'erano già Inter e Juventus in semifinale, il gol di Inzaghi rendeva certa la presenza di un'italiana in finale (e finì con Milan-Juve a Old Trafford, vittoria rossonera ai rigori, ndr)».

Ma Piccinini tiferà pure per una squadra no? Si può dire?
«Allora, mio padre Alberto fu un grande giocatore della Juventus Anni 50, quella di Boniperti, che l'Avvocato Agnelli sosteneva fosse stata la più forte di sempre. Seguendo lui mi innamorai di Sivori. Che però poi andò al Napoli e quindi finii per seguire con simpatia i partenopei».

E quando Sivori smise?
«Andai in crisi. Ho simpatizzato per Chinaglia e per Rivera. Ma il tifo vero e proprio non l'ho più provato. Poi iniziando a fare questo lavoro è proprio scomparso».

Amore per il calcio puro allora. Da praticante. In che ruolo giocava Sandro Piccinini?
«Ero una mezzala, niente fisico e tutta tecnica. Ma Liedholm mi fece capire che era meglio lasciar stare».

Liedholm? Che c'entra il Barone?
«Persi mio padre molto presto, che avevo solo 14 anni (morì il 14 aprile del '72 a soli tre giorni dal compleanno di Sandro, ndr) e mi stava passando la voglia di giocare. Mia madre volle farmi proseguire chiese a Liedholm, che giocò con papà nel Milan, di farmi fare un provino con la Roma. Era il 1973. Il Barone fu molto gentile, mi fece fare la partitella con la prima squadra. Ero elettrizzato e giocai molto bene. Poi mi fece fermare a fare tiri in porta, di destro e di sinistro».

Tutto a meraviglia quindi?
«Sì. Uscii dallo spogliatoio con i capelli bagnati e lui mi disse "vai asciugare capeli". Insomma, mi trattava già come un suo giocatore. Ero alle stelle».

Ma?
«Ma dopo essermi asciugato la testa mi chiese? "Sandro, come vai a scuola?" e io tutto fiero: benissimo mister. E lui: "Ecco bravo, jogare calcio difisile. Studio garantisce lavoro". Andai a casa in lacrime. Ma quando da giornalista mi ritrovai a intervistarlo lo ringraziai».

Sivori il campione preferito. E invece il collega preso ad esempio?
«Il mio modello è stato Enrico Ameri».

Un radiocronista. In effetti lei ha portato il tv la radiotelecronaca...
«Era il numero 1. Ascoltavo le sue cronache e sognavo. Poi vedevo la stessa partita in tv e mi sembrava grigia... Certo, Martellini grande timbro, straordinaria pronuncia. Ma ho pensato di portare in televisione un po' di ritmo».

Chi è il nuovo Sandro Piccinini?
«Di telecronisti bravi ce ne sono tanti. Studiano come matti. Ecco, rivendico lo studio della partita, dei giocatori, prima di raccontarla. Poi certo qualcuno esagera pretendendo di raccontare la storia di un giocatore prima di un calcio d'angolo...».

Fuori i nomi del mucchio selvaggio.
«Allora direi Massimo Callegari, stile abbastanza simile al mio. Non parla troppo, non è asfissiante e non si erge mai a protagonista. Poi Stefano Borghi, Ricky Buscaglia e Alessandro Iori di Dazn; Riccardo Gentile e Maurizio Compagnoni di Sky. Fabio Caressa e Massimo Marianella sempre di Sky sono fuori concorso perché sono cresciuti con me».

Infine, Piccinini, ci dica: Proprio Lui chi? Gli indizi portano al Milan-Roma sbloccato dal gol del grande ex Agostino Di Bartolomei e finito 2-1 per i rossoneri.
«Ricordo di aver fatto quella radiocronaca (era il 14 ottobre del 1984, per "In campo con Roma e Lazio" su TeleRoma 56, ndr) ma non so se Proprio lui nacque lì. Certo è verosimile. Perché tutte le mie espressioni sono nate sul campo, mai preparato niente. E su quel gol "Proprio lui" ci stava veramente bene».
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