Il Liverpool fa mea culpa:
dietrofront sulla cassa integrazione

Il Liverpool fa mea culpa: dietrofront sulla cassa integrazione
di Salvatore Riggio
Martedì 7 Aprile 2020, 12:53 - Ultimo agg. 13:32
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Una bufera così sul Liverpool non si era mai vista. Non è stata proprio una buona idea per il club inglese, primo in classifica a + 25 dal Manchester City (hanno una gara in meno) prima della sospensione della Premier a causa del Coronavirus, chiedere i contributi governativi per integrare i compensi dei lavoratori del club (copertura dell’80%, ma sono esclusi staff e calciatori), volendo seguire la strada tracciata da Newcastle, Tottenham e, in forme diverse, da Norwich e Bournemouth. Proprio i Reds che avevano annunciato, qualche settimana fa, un utile ante imposte di 48 milioni di euro e un aumento del fatturato di 605 milioni di euro nel 2018-2019 (oltre che avere il terzo monte stipendi, quasi 129 milioni di euro). «Sono disgustato», il pensiero di Collymore, ma molti altri ex giocatori - su tutti, Carragher e Hamann - si sono detti disgustati. Una polemica che ha fatto scendere in campo il sindacato dei tifosi del Liverpool, Spirit of Shankly, ma anche i parlamentari locali Dan Carden e Ian Byrne e altri politici, tra cui il sindaco di Liverpool, Joe Anderson. Tutto questo ha spinto i Reds a fare dietrofront: «Sono stati considerati una serie di possibili scenari. Riteniamo di essere giunti alla conclusione sbagliata e siamo davvero dispiaciuti per questo», ha spiegato Peter Moore, il direttore generale, per poi aggiungere: «Nonostante fossimo in una posizione salutare prima di questa crisi, i nostri ricavi sono diminuiti, mentre le spese rimangono. E come quasi tutti i settori della società, c'è una grande incertezza e preoccupazione per il nostro presente e futuro. Il club continua a prepararsi per una serie di scenari diversi, ma è inevitabile che molti di questi comportino una forte flessione delle entrate, con perdite operative senza precedenti».
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