Sette mesi dopo il malore in campo agli Europei, il cuore che per circa un minuto ha smesso di battere e l'impianto di un defibrillatore, l'ex giocatore dell'Inter e della nazionale danese Christian Eriksen torna al calcio professionistico e torna per inseguire un sogno: indossare la maglia della nazionale danese e partecipare alla Coppa del Mondo in Qatar. Vestirà la maglia del Brentford, squadra della Premier League. Un ritorno per lui in Inghilterra, dove ha giocato dal 2013 al 2020 nel Tottenham prima di essere ceduto all'Inter. «Una grande gioia», commenta il club britannico dopo aver definito l'ingaggio. «Ci siamo mossi dopo aver saputo che c'era stata la risoluzione del contratto con l'Inter». Eriksen è pronto: non sarà facile sconfiggere la paura, ma il richiamo del pallone, a 29 anni, è più forte di ogni cosa. Avrà un aiuto in più da quel defibrillatore sottocutaneo che interverrà in caso di nuovi problemi cardiaci e che gli ha impedito di avere il via libera per la serie A.
La serie A non lo avrebbe potuto far scendere in campo per via del protocollo sanitario che è assai restrittivo. Quella specie di peacemaker è uno stimolatore che interviene in caso di una nuova fibrillazione ventricolare come in quel Danimarca-Finlandia. Marcellino Monda, direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport nell'Università Vanvitelli spiega perché in Italia non poteva continuare a giocare. «La cosa che davvero preoccupa non è tanto la presenza di un defibrillatore sottocutaneo che le moderne tecnologie mettono praticamente al riparo da gomitate o pallonate, quindi da ogni rischio legato alla partita in sé: il problema vero è la patologia che ha costretto a impiantare il defibrillatore e che il protocollo cardiologico italiano non prevede possa far concedere l'idoneità sportiva».