Italia flop, intervista a Sacchi:
«Specchio del Paese senza idee»

«Il calcio specchio del Paese senza idee»

Italia flop, intervista a Sacchi: «Specchio del Paese senza idee»
di Pino Taormina
Sabato 26 Marzo 2022, 08:00 - Ultimo agg. 27 Marzo, 08:06
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«Ricordo ancora quando a dieci anni accompagnavo il mio babbo in Germania perché lui era rappresentante di scarpe. E parlavamo con i tanti emigranti che nel dopoguerra si erano trasferiti. Loro erano gli italiani belli, sorridenti e i tedeschi i crucchi. Solo che i crucchi giravano in Porsche e noi lì, invece, facevamo i lavori più umili. Ecco, allora ho capito che alla furbizia e alle scorciatoie bisogna sempre mettere davanti il lavoro. Ed è per questo che l'Italia vedrà un altro Mondiale alla tv». Arrigo Sacchi non sa darsi pace per questa eliminazione con la Macedonia del Nord. Ma non è sorpreso. Da anni predica nel deserto, la sua voce resta inascoltata.

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Sacchi, è una Caporetto forse persino peggiore di 4 anni fa.
«Vogliamo vincere come viviamo. Pensiamo sempre che arriverà qualcuno o qualcosa a sistemare le cose al posto nostro. Siamo arretrati, siamo fermi a quegli anni lì in cui andavo in Germania con mio padre. A sessant'anni fa. Il calcio e il nostro Paese. Non ci sono idee. Di cosa ci stupiamo?».

Mancini deve dimettersi secondo lei?
«Sempre la solita caccia al capro espiatorio. No, lui non ha colpe. Non ne vedo. Deve restare, altro che andare via. Ma non a queste condizioni, non senza avere garanzie dalla Federcalcio e da Gravina che qualcosa cambierà nel sistema calcio italiano».

E cambierà?
«Non ci credo. Non succederà nulla. La Francia ha qualcosa come 14 centri federali, la Germania qualcuno in più, in Inghilterra è la stessa cosa. E noi? Che piano abbiamo? Non mi pare che si parli di investimenti in questa direzione».

Da dove partirebbe?
«Ogni punto sarebbe buono, tanto stiamo indietro su ogni cosa. Vediamo cosa fanno i club: vivono di debiti, si nutrono di questo come se fosse normale. Prendono 15 o 20 ragazzini alla volta all'estero, tanto li pagano pochissimo e incrociano le dita sperando che nel gruppo spunti l'affare che sistemi i loro conti. E c'è qualcuno che dice qualcosa? Lavoriamo con presunzione, pensando di essere furbi. Il risultato è questo».

Eppure a Italia 90 siamo arrivati terzi, con lei negli Usa abbiamo perso la finale solo ai rigori, nel 2006 siamo stati campioni del mondo. Cosa è successo?
«Non abbiamo investito. Siamo rimasti fermi lì. Il mio Milan che ha dominato il mondo è stato imitato ovunque. I nostri sistemi di gioco, le nostre idee sono state prese come modello da generazioni di tecnici.

Da tutte le parti. Tranne che da noi. Perché è più semplice andare avanti con le scorciatoie che con il lavoro duro, sodo, premiando il merito. Raccogliamo quello che abbiamo seminato: siamo arretrati, vogliamo vincere a calcio esattamente come viviamo tutti i giorni della nostra vita».

Però, non riuscire neppure a fare un gol alla Macedonia del Nord...
«Se non fosse stata per la Nazionale che ha vinto l'Europeo a Wembley, e con merito, devo essere io a ricordare cosa abbiamo vinto in Europa negli ultimi 12 anni? Zero. L'ultima Champions è quella di Mourinho e dell'Inter. Si pensa che il problema sia il ct o i calciatori. Ma non è così. I colpevoli non sono loro: gli altri si evolvono, noi no. E adesso il presidente Gravina, uomo competente, deve mettersi al lavoro per provare a cambiare. Sennò tra quattro anni staremo a parlare di un nuovo fallimento».

Non è che è colpa anche del nostro campionato?
«Ovvio che lo è. Ma è una parte del problema. Se uno vede una partita di serie A e poi cambia canale e vede la Premier o la Liga capisce che c'è qualcosa che non va. Uno altrove si abitua a giocare a un ritmo differente rispetto ai nostri».

Sacchi, come si riparte da una simile disfatta che cancella anche la gioia per l'Europeo.
«I tecnici dei settori giovanili della Federcalcio incomincino a insegnare ai ragazzi a giocare. Spiegando che senza gioco non si vince al calcio. Perché non è che ogni volta puoi avere un colpo di fortuna e l'uomo della provvidenza che ti dà una mano a risolvere i guai».

Solo questo?
«Il mio babbo mi diceva che dovevo imparare da chi le cose le sapeva fare. Ed era già difficile capire questo. Per me si incominci a vedere la Spagna cosa ha fatto per avere simili risultati a livello di nazionali. Non pensiamo sempre che siamo i più bravi, che non abbiamo bisogno di lezioni perché non lo siamo. Né possiamo credere che cambiando il ct o altre persone, abbiamo sistemato le cose. Non è questa la ricetta per uscire fuori dal tunnel. È l'approccio mentale che va cambiato».

Proviamo a trovare un lato positivo?
«Non sarà facile rialzare la testa. Le cose da salvare sono poche. E questa eliminazione non deve dare alibi: il rinnovamento deve essere totale e passa per il sacrificio, per mettere il merito al centro di ogni cosa, per trovare l'essenza del calcio. Saremo in grado di farlo?».

Quale è questa essenza?
«Nello stadio Sarrià, al Mondiale spagnolo del 1982, i brasiliani parlavano di come eliminare l'Italia. A loro bastava il pareggio. Qualcuno propose di lasciare il pallone tra i piedi degli italiani che tanto non sapevano cosa farsene perché non sanno attaccare. Ma Socrates e Zico si opposero: noi siamo il Brasile e non possiamo aspettare. C'è grandezza e presunzione in quelle parole, ma è questa l'essenza di ogni cosa» 

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