Italia, Mancini-Balotelli tra litigi e gol:
storia di un «odioamore»

Italia, Mancini-Balotelli tra litigi e gol: storia di un «odioamore»
di Andrea Sorrentino
Martedì 25 Gennaio 2022, 11:57 - Ultimo agg. 13:28
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Vivo disappunto delle moltitudini: «Ancora con Balotelli?», è più o meno la reazione generale, alla notizia dell’inserimento di Supermario nei 35 convocati per lo stage della Nazionale. Eppure, non si tratta di una cosa così strana o bislacca, visto che il ct azzurro è Roberto Mancini: per Mario è una sorta di padre putativo, e non solo calcistico. Nessuno ha compreso, lanciato, sostenuto e sopportato Balotelli come il Mancio, lo dice la storia. Che inizia addirittura nel 2007, quando il giovane Mario, appena 17 anni, arriva nella Primavera dell’Inter, mentre Mancini allena la prima squadra. E con l’occhio che ha sempre avuto per i giovanissimi talenti, l’allenatore nota subito le qualità di Balotelli, figurarsi: a quell’età, nessuno calciava (e calcia) il pallone con quella violenza e quella precisione, pochi avevano le sue doti atletiche. Infatti Mancini non ci mette niente a lanciare il giocatore in prima squadra, anche se gli attaccanti ci sono già, e si chiamano Ibrahimovic, Crespo, Cruz e Suazo.

Il primo approccio

Balotelli esordisce in campionato a 17 anni e 4 mesi, in un Cagliari-Inter di fine 2007. Mancini ne dosa l’impiego, ma lo lancia in grande stile in una partita di Coppa Italia delicatissima, uno Juventus-Inter del gennaio 2008 con cui Mario si annuncia in grande stile al calcio italiano: doppietta a Torino, l’Inter vince 3-2 e si qualifica, è nata una stella. Mancini comprende a fondo il talento di Mario, perché lui stesso fu un prodigio calcistico imberbe che esordì in A a 16 anni, ma ne conosce anche i tormenti interni, per via della sua infanzia difficile da bambino adottato da genitori bresciani (lui era nato a Palermo da genitori ghanesi), e in qualche modo gli fa da papà calcistico, lo aiuta, lo comprende anche nei comportamenti più bislacchi, insomma gli vuole bene. Tutte cose che Balotelli non dimenticherà mai. Si fida talmente del ragazzo, l’allenatore, che lo lancerà titolarissimo in una partita assai difficile di quella stagione, a inizio aprile 2008, con l’Inter capolista che ha cominciato a cedere punti alla rimonta della Roma, il Mancio stesso che è in uscita dal club perché a giugno arriverà Mourinho. Eppure in quell’Atalanta-Inter, a cui i nerazzurri arrivano segnati da polemiche interne, Balotelli gioca dal primo minuto, e la sorpresa fu di vedere il ragazzino prendere in mano la squadra, con l’incarico di battere tutte le punizioni e i calci d’angolo. Proprio da corner Mario effettuerà l’assist per l’1-0 di Vieira, mentre nel secondo tempo segnerà lui stesso il 2-0, suo primo gol in serie A, con fuga solitaria verso il portiere, dribbling irridente, e palla calciata in rete a porta vuota. Sarà titolare fino alla fine del campionato, che l’Inter si aggiudicherà solo all’ultima giornata a Parma, con doppietta di Ibrahimovic nel secondo tempo.

Toh, chi si rivede

Poi le strade di Roberto e Mario si separano, Balotelli vivrà due anni molto particolari all’Inter, dove Mourinho non avrà la stessa pazienza di Mancini, e nemmeno i suoi compagni di squadra, che nell’anno del Triplete si stancheranno delle bizze di Mario, e insieme a loro anche il club. Infatti ad agosto, mentre Balotelli compie 20 anni, lo cedono al Manchester City, dove guardacaso l’allenatore è Mancini, chiamato dalla nuova proprietà di Abu Dhabi a rilanciare il marchio del club, che poi in effetti si rilanciò eccome, fino ai fasti attuali con Pep Guardiola. AL City, Roberto e Mario trascorrono insieme due anni e mezzo, memorabili anche quelli.

Mario tra l’altro nella città mancuniana si ambienta anche grazie a Filippo e Andrea, figli del Mancio e suoi coetanei: Filippo è nato nel 1990 come Mario e Andrea nel 1992, stanno spesso insieme. In campo le cose vanno come vanno sempre con Balotelli, tra lampi e cadute, gol e assist ma pure troppe ammonizioni ed espulsioni, il Mancio sa che con il giocatore c’è sempre da pagare qualche prezzo ma anche da riscuotere. Ed ecco che arriva la Coppa d’Inghilterra nel 2011, trofeo che il City non vinceva da 42 anni, e l’anno dopo anche la cavalcata vincente in campionato, in un duello straordinario con il Manchester United di Alex Ferguson, punito a Old Trafford con un celebre 6-1 in cui Mario segna due gol, ed esibisce la maglietta con scritto “Why always me?” che è rimasta negli annali. Il titolo si decide all’ultimo secondo dell’ultima giornata, col gol-vittoria segnato da Agüero al 93’, su assist proprio di Balotelli: City campione d’Inghilterra dopo 44 anni, nel segno di un allenatore italiano e del suo strambo, fortissimo, inaffidabile figlioccio.

Non esclude il ritorno

Una meravigliosa storia, che quindi era destinata a finire presto, sei mesi dopo, quando Balo ormai aveva irritato Mancini e fu riaccolto in Italia a gennaio 2013, chiamato dal Milan. Così le loro strade si separarono di nuovo, mentre anche il tecnico avrebbe chiuso la parabola inglese pochi mesi dopo, e comunque lasciando l’Inghilterra con un primo, un secondo e un terzo posto, più due finali di Coppa, vincendone una. Cose che non si dimenticano, al punto che tra Mancini e Balotelli il discorso è sempre rimasto aperto, l’affetto e la gratitudine enormi. Non è un caso che dopo l’esperienza con Prandelli che si chiuse al fallimentare Mondiale 2014, Mario fu visto come il fumo negli occhi dal club Italia, con i senatori che non vollero più saperne, e i successivi ct, Conte e Ventura, che non lo chiamarono mai nemmeno per sbaglio. Mario avrebbe rivisto l’azzurro solo con Mancini, che da fresco ct lo richiamò subito all’ovile, nel 2018, salvo certificarne l’inutilità dopo tre convocazioni, perché capì che “quel” Balotelli non era più all’altezza. Ma appena ne ha ricevuto qualche segnale di vita, anche se dal campionato turco, si è ricordato del suo figlioccio. E ora lo vuole vicino a sé, nel momento più delicato della sua avventura azzurra, col Mondiale in bilico. Come solo un padre potrebbe fare con un figlio, rischiando molto, giocandosi un po’ della sua reputazione, perché se Mario fallisse poi la colpa sarebbe tutta di Mancini. Sono scelte d’amore.

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