Fatale è ancora Verona. Tutti in ritiro a Formello come non succedeva da tre anni, esattamente dal 3 dicembre 2018. Sconfitta al Bentegodi col Chievo, allora. L'ultima invece ricalca in tutto e per tutto la recente disfatta di Bologna: «Solo che lì eravamo morti e stavolta sono invece rimasto sorpreso perché in settimana avevo visto consapevolezza dell'importanza della gara», svela Sarri alle 18, dopo un confronto di quasi un'ora con la squadra. «Io mi vergogno. Così non può andare avanti - ha detto chiaro e tondo -: non vincete perché vi chiamate Lazio, ma se vi impegnate. È una questione di mentalità, innanzitutto». Sino all'altro ieri aveva tenuto colloqui privati con ogni giocatore, aveva fatto lo psicologo per capirne malumori o esigenze. Adesso solo bastone: «Se giocate così, vuol dire che non vi sto entrando dentro. Guardiamoci in faccia e risolviamo ogni problema».
Verona-Lazio, cronaca e tabellino
Quasi per provocazione, al Dall'Ara aveva chiesto persino ai giocatori se volessero la sua testa.
LIMITI La rosa è corta, ma le idee sono ancora più confuse. Appena evaporano le fiammate di Felipe Anderson, non c'è partita. Inutili persino i gol puntuali di Immobile per risollevare l'inerzia di una sfida in salita. Con il Verona la reazione non basta, non c'è la rimonta. Perché riemergono pure le solite amnesie in difesa. E, per carità, ieri era evidente l'emergenza (squalificati Luiz Felipe e Acerbi), ma i limiti di Patric e Radu sono palesi, così come i 17 gol subiti in nove giornate, non accadeva dal campionato 1983/84. La retroguardia non va perché il centrocampo corre poco o non filtra. Leiva insegue l'aria, Milinkovic brontola e si limita a vincere i duelli aerei sui lanci di Reina. Così Sergej non funziona nemmeno con Akpa Akpro, motorino senz'arte specifica. Schierato da Sarri al posto di Basic per dare maggiore vivacità. Scelta sorprendente ma sbagliata, perché alla fine l'assenza di qualità si paga. Caprari fa ciò che vuole, così come Lazovic e Barak.
RIFLESSIONI Ora a Sarri rischia di ritorcersi contro pure la scelta di tenere Luis Alberto in panchina: «Ma io non devo guardare al dietro, ma solo al davanti della maglia», precisa. Peraltro, stavolta il Mago entra e non dà nessuna scossa. Anche se almeno da un suo corner Milinkovic colpisce la traversa. È l'ultimo sussulto di una Lazio che da quel punto in poi tira definitivamente i remi in barca. Una resa che ancora una volta spinge Sarri a porsi la stessa domanda: giocano contro di me? «No», è il responso dello spogliatoio. Anche se Maurizio al Bentegodi si sgola, chiede a Pedro di venire più basso per favorire l'inserimento dei centrocampisti al suo posto. Lo spagnolo è l'unico ad ascoltarlo, anche se poi lo tradisce con una palla persa per presunzione che avvia il 3-1 del Cholito. C'è pure il tempo per il poker nel recupero. Tare in tribuna nemmeno lo vede perché è già al telefono con Lotito che ordina il ritiro. Simeone attribuisce il suo exploit «alla meditazione», magari servirà anche alla Lazio, rinchiusa dalle nove di ieri sera a Formello. Altrimenti bisognerà rassegnarsi ai problemi strutturali, all'anno di transizione e costruzione di cui Sarri parla dal primo giorno. Ma se è così, vietato sognare, a meno davvero di una rivoluzione. La pandemia ha limitato in estate le cessioni, piccole o illustri, ora bisogna correre ai ripari.