Le ambizioni italiane
all’esame Champions

di Francesco De Luca
Lunedì 16 Settembre 2019, 09:53 - Ultimo agg. 14:22
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Si riparte. Domani Inter e Napoli, mercoledì Juve e Atalanta. L’ultima italiana a giocare la finale di Champions League fu la Juve di Allegri nel 2017: umiliata dal Real Madrid. E a nove anni fa risale l’ultima vittoria, quella dell’Inter del Triplete di Mourinho. Vi è stato un arretramento tecnico ed economico: dal 2011 la Spagna ha vinto sei volte il trofeo, l’Inghilterra due (ultimo successo quello del Liverpool, atteso domani sera al San Paolo), la Germania una. L’Italia è rimasta al palo: la Juve ha sì giocato due finali, però le sconfitte contro il Barcellona nel 2015 e il Real due anni fa sono state senza discussioni; l’Inter e il Milan hanno vissuto travagliati passaggi societari che hanno inciso sui risultati; la Roma è arrivata a un passo dall’impresa di qualificarsi per la finale nel 2018; il Napoli di Sarri è stato eliminato nel 2017 dal Real Madrid e quello di Ancelotti è uscito di scena nello scorso dicembre a causa della differenza reti. Gli azzurri sono stati sconfitti in questi anni da chi ha poi vinto la Champions (Chelsea, Real e Liverpool) e ciò testimonia la qualità del lavoro fatto dal club di De Laurentiis. 

Possiamo auspicare che la tendenza cambi perché in questa estate è accaduto qualcosa di significativo sul mercato. I club italiani hanno investito oltre un miliardo - anche se vi sono state molte fittizie plusvalenze - e hanno arricchito il campionato con giocatori di valore: si pensi a Lukaku, De Ligt e Lozano, per citare i colpi delle tre candidate allo scudetto. La Champions offre l’occasione di verificare se tanti milioni sono stati ben spesi e se il gap rispetto a Premier e Liga si sta colmando. I fatturati e il valore delle rose dei club europei dicono, per ora, altro. Nella classifica degli organici delle squadre della Champions stilata dal sito Transfermarkt - al comando vi è il Manchester City con 1,2 miliardi - la prima italiana è la Juve, nona, con 864 milioni. Quattordicesimo il Napoli (625), quindicesima l’Inter (535) e trentaseiesima l’Atalanta (252). È una marcata differenza, d’altra parte - al di là della forza delle proprietà e della qualità degli impianti - c’è il discorso dei diritti televisivi: i club della Premier, secondo altri parametri, dividono il doppio rispetto a quelli di serie A e questi sono milioni che pesano. Ma dal mercato estivo è arrivato un incoraggiante segnale e adesso serve la verifica: qual è il reale effetto di quell’investimento miliardario fatto dal calcio italiano?

La differenza possono farla i bravi giocatori ma anche i buoni allenatori. Ne sono rientrati due di spessore, Conte e Sarri, e già un anno fa De Laurentiis aveva fatto un gran colpo portando Ancelotti a Napoli. A loro è affidato il compito di far pesare il ruolo dell’Italia nella più importante competizione internazionale. La sfida è onerosa e affascinante. Per Conte, l’unico a punteggio pieno in campionato, c’è un avvio soft contro lo Slavia Praga: ha avuto i rinforzi, anche platealmente sollecitati, e ha cominciato la guerra di nervi con la Juve e Sarri, ricordandogli che ora è lui l’uomo da battere e non può lamentarsi dell’orario pomeridiano di una partita. Sarri ha un bel po’ di problemi da gestire nella Juve e troverà un furioso Atletico Madrid, caduto nell’anticipo della Liga sul campo della Real Sociedad: a Maurizio serve ancora tempo ma quello di mercoledì è già un ostacolo da superare senza danni. Ancelotti ritrova il Liverpool e Klopp, ormai vecchi amici del Napoli considerando la frequenza dei confronti in coppa o in amichevole: aver dato equilibrio alla squadra (e altri tre punti) dopo le prime due incerte prove in campionato è un confortante segnale in vista di un appuntamento già cruciale per la qualificazione. Lui, l’uomo delle tre Champions, stavolta non vorrà fermarsi sul più bello.
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