Argentina in semifinale mondiale, il riscatto di Scaloni l'italiano

Gli argentini lo guardavano con diffidenza, poi hanno imparato ad apprezzarlo

Lionel Scaloni con Leo Messi
Lionel Scaloni con Leo Messi
di Francesco De Luca
Lunedì 12 Dicembre 2022, 11:00 - Ultimo agg. 11:20
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Aveva un mese quando l'Argentina vinse il primo Mondiale nel 78 e 8 anni quando Maradona alzò la Coppa nel cielo di Città del Messico nell'86. Poi il buio per la Seleccion, battuta dalla Germania nella finali del 1990 e del 2014. Lionel Scaloni tenta il grande colpo in Qatar, dove neanche avrebbe dovuto presentarsi. Quattro anni fa, quando venne promosso al posto di Jorge Sampaoli dopo il fallimento della missione in Russia, fu chiarito dalla Federcalcio argentina che si trattava di un incarico ad interim. E Maradona sbottò: «Scaloni può fare il ct del motociclismo, non ha esperienza e non gli farei dirigere neanche il traffico». Scaloni è rimasto al suo posto. E ha fatto di più. Dopo 28 anni ha guidato l'Argentina alla conquista della Copa America nell'estate 2021 e l'ha portata alla semifinale di domani contro la Croazia. La partenza dell'altro Lionel della Seleccion era stata tutt'altro che positiva, incredibile sconfitta nel primo match contro l'Arabia Saudita. E lui s'era sorpreso per le polemiche. «Non capirò mai perché una partita di calcio non possa essere considerata soltanto una partita di calcio». Gli argentini - non solo l'immenso Diego - lo guardavano con diffidenza, poi hanno imparato ad apprezzarlo e mentre volava verso la conquista della Copa America hanno soprannominato Scaloneta la Seleccion, che governa con il supporto di tre ex campioni dell'Albiceleste: Samuel, Aimar e Ayala (ex difensore del Napoli, uno scudetto col Milan) sono i suoi assistenti. Lui un Mondiale lo ha vissuto da calciatore, quello del 2006 in Germania: una sola presenza. 

Scaloni ha origini italiane, i suoi antenati partirono da Ascoli Piceno.

Curiosamente le stesse origini dei due ct che hanno vinto il Mondiale con l'Argentina: il marchigiano Menotti e il siciliano Bilardo. Lionel ha anche giocato in serie A. Cinque stagioni nella Lazio e tre nell'Atalanta, dove lo portò il tecnico che lo aveva valorizzato a Roma, Reja. «Ragazzo sveglio, aveva personalità. Faceva spesso osservazioni tattiche: mister, io avrei fatto così...». Scaloni si è ritirato a 37 anni e ha cominciato studiare da allenatore proprio in Italia, frequentando il corso per tecnici di settore giovanile. Un'esperienza a Malaga con calciatori 14enni, poi il ritorno in Argentina. Con la chiara idea di fare questo mestiere. «Quando ho smesso di giocare riempivo inizialmente le mie giornate con la bici: facevo ore e ore di allenamento». Tanta fatica e poco sonno, non più di quattro ore a notte. «Dormire è un po' come morire». Si alza alle 4.30, al massimo alle 5, per cominciare a lavorare. Da allenatore, come da calciatore, non si concedeva né lussi né serate mondane. «Zero musica, zero tv, zero film. Quando sono a casa, parlo con la mia famiglia». Il rapporto con i media argentini è abbastanza tormentato. A un cronista di Buenos Aires che gli chiedeva notizie su De Paul prima della partita con l'Olanda ha replicato: «Chi ti ha detto che è infortunato? Stai dalla parte dell'Olanda o dell'Argentina?». 

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Non si sente né menottista né bilardista. Anzi. «Vorrei che la mia squadra fosse un po' l'uno e un po' l'altro». Fantasia e concretezza. Non è un personaggio come El Flaco Menotti o El Narigon Bilardo. Ma per guidare la nazionale che ha uno dei migliori al mondo, capitan Lionel, e un valore di 650 milioni di euro non bisogna essere un personaggio. «Un obiettivo alla volta, la finale è l'ultimo traguardo e ora c'è la Croazia». Da affrontare senza gli squalificati Acuna (al suo posto Tagliafico) e Montiel, con Di Maria e De Paul acciaccati e in forte dubbio. Il ct che doveva rimanere per qualche settimana e invece da quattro anni siede su una delle panchine più prestigiose al mondo ha provato il 4-3-3 e il 3-5-2. Perché il modulo non è fisso. D'altra parte, la storia della Seleccion insegna solo un aspetto della formazione è certo: Lionel (come un tempo Diego) e altri 10. Scaloni non manda baci ai tifosi, né con la destra dà colpi sul cuore come faceva Maradona in Sudafrica. «Ma la gente sa che darò tutto finché resterò qui perché voglio renderla felice». Lionel, un duro che da calciatore era soprannominato El Toro, ha rinnovato il contratto fino al Mondiale 2026 poco prima di volare in Qatar. E pensare che era ad interim. 

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