Maradona, Cannavaro lancia l'idea:
«Coro per Diego al 10’ di ogni gara»

Maradona, Cannavaro lancia l'idea: «Coro per Diego al 10’ di ogni gara»
di Pino Taormina
Sabato 28 Novembre 2020, 09:03 - Ultimo agg. 13:44
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«Io propongo che da oggi in poi per ricordare Maradona i tifosi dovranno, al minuto 10 di ogni gara, alzarsi in piedi, applaudire e intonare un coro, dedicargli la sua canzone, la sua colonna sonora napoletana O mamma mamma mamma, sai perché mi batte il corazon, ho visto Maradona, ho visto Maradona, uè mammà innamorato son. Un modo unico per rendergli omaggio. Un modo per cui, da qui ai prossimi 100 anni, a ogni bambino che andrà a vedere una partita del Napoli dovrà essere detto: lui era il calciatore più forte al mondo di tutti i tempi. E ha giocato e vinto con il Napoli». Fabio Cannavaro, campione del mondo del 2006 e ultimo Pallone d'oro italiano, è a Doha per la Champions d'Asia. Sogna che questa sua iniziativa venga accolta dai tifosi, delle curve e degli altri settori.

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Cannavaro, solo a pensarci viene la pelle d'oca.
«Per tre anni, quando ero al Real Madrid, al minuto 7 sullo schermo vedevo apparire il volto di un campione come Juanito, morto giovanissimo per un incidente stradale. Ed era un momento emozionante. Sarebbe una maniera straordinaria per ricordare un uomo straordinario, che per Napoli e il Napoli ha sfidato senza paura tutto e tutto».

Cosa è stato per lei Maradona?
«Sono arrivato nelle giovanili del Napoli quando gli azzurri vinsero il primo scudetto. E noi eravamo al settimo cielo ad andare in giro per l'Italia a giocare il Viareggio o un qualsiasi torneo con la stessa maglia di Diego. Era motivo di grande fierezza. Perché eravamo i ragazzini del Napoli che vinceva, che dominava in Italia dopo tanti anni».

Il suo primo incontro con lui?
«Io e Ametrano ci intrufolavamo a Soccavo nella speranza di vederlo. E la prima cosa che facemmo quando ci riuscimmo, con grande faccia tosta, e chiedergli se aveva delle scarpette da calcio da regalarci. Lui ci disse di aspettare, entrò nel magazzino e uscì con un paio di scarpe per ciascuno. Taglia 40. Mi calzavano alla perfezione. Ma pure se non mi fossero andate, me le sarei messo lo stesso. E per giocarci le sfondai. Non rimase praticamente nulla delle sue scarpe».

Era un gigante per voi delle giovanili?
«Per me è stato una specie di supereroe. Che ne so: Superman e l'Uomo Ragno messi assieme. A noi regalavano una tessera per la tribuna laterale, ma per fare il tifo scavalcavamo per andare in curva, tra gli ultras.

Poi ci portarono a fare i raccattapalle e il giorno della gara-scudetto con la Fiorentina io venni chiamato all'improvviso, perché mancava un ragazzo, dal professor Scarpitti a giocare la partitella che una volta si disputava prima del match tra i giovani. E così ho potuto assistere da vicino alla festa con Diego e tutti gli altri».

Una volta rischiò anche di fargli male, però?
«È vero, durante l'allenamento del giovedì entrai in scivolata sulle sue gambe. Tutti mi presero per matto. Paolo Fino che era il responsabile mi richiamò ma stai fuori? Va' chian.... Ma Diego disse: no no, ha fatto bene, continua Fabio, non ti preoccupare. Solo perché sapeva il mio nome non ho chiuso occhio per due notti».

L'amicizia quando nasce?
«Dopo che va via. Nel 1993 andiamo in tournée in Argentina e Ciro Ferrara organizza una cena a casa sua. Mi presenta e lui mi dice: Come no, Fabio, quello della scivolata. Ore straordinarie».

Cosa pensa?
«Che quello che conta è davvero ciò che è riuscito a regalare a ognuno di noi. Vedo la gente piangere per lui in ogni angolo del mondo, vedo l'emozione degli argentini, dei napoletani e di milioni di persone che amano il calcio. Il segnale che ha regalato gioia, entusiasmo, voglia di innamorarsi di questo gioco che è stupendo».

Come se lo ricorderà?
«Io l'ho visto sempre felice. Per due anni ha abitato davanti casa mia a Palm Jumeirah a Dubai e devo dire che era sereno, poteva girare liberamente sulle spiagge e sentirsi quasi una persona normale. A parte quando venivano i miei amici e appena lo vedevano gli chiedevano la foto. .. ma io li capivo, quello era Diego Armando Maradona».

Lei ci ha mai pensato, come lo avrebbe cercato di fermare?
«Ho visto come lo picchiava Matthaeus nella finale dell'Azteca nel 1986. Ora sarebbe impossibile. All'epoca o prendevi il pallone o prendevi la gamba. Tranne che con lui, perché andava così veloce che non riuscivi molto spesso a prendere né l'uno né l'altra».

La scena che porterà nel cuore?
«Ne ho due: dopo la vittoria della Coppa Uefa a Stoccarda quando cerca Ferrara in lacrime e se lo coccola Ciruzzo è napoletano e se lo merita più di tutti. Era il senso di tutto».

L'altra?
«Un altro abbraccio: a Pelé, a Mosca, al sorteggio per i Mondiali. Tanto si era detto sulla loro rivalità ma alla fine erano due vecchi amici».

Ieri erano esattamente 14 anni dal suo Pallone d'Oro. Vincerà mai un altro italiano?
«Fu per me una stagione magica, irripetibile. Prima la Coppa del mondo e poi il Pallone d'Oro. Un altro italiano? a me piacciono molto Zaniolo e Scamacca, vedo in loro i segni e le doti dei grandi campioni».

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