Milena Bertolini: «Scusate il ritardo, ma noi del calcio femminile stiamo arrivando»

Milena Bertolini: «Scusate il ritardo, ma noi del calcio femminile stiamo arrivando»
di Stefano Boldrini
Lunedì 7 Marzo 2022, 07:30 - Ultimo agg. 22 Febbraio, 10:32
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L’8 marzo delle donne e il calcio femminile: se vogliamo trovare un’affinità, si può dire che in Italia c’è ancora molta strada da percorrere. Senza dubbio negli ultimi tempi i maggiori progressi sono stati compiuti nel mondo del pallone: dal mondiale 2019 il crescendo del settore è stato costante, dalla consistenza del campionato alla copertura mediatica. La lista dei femminicidi – 62 vittime nel 2021 – e i tentativi di alcuni settori della politica di riportare indietro l’orologio del tempo, cancellando conquiste civili sacrosante, dimostrano che il nostro paese ha ancora un problema serio. Milena Bertolini, ct della nazionale donne dal 2017, non vive solo di calcio. Ha ricoperto l’incarico di assessore dello sport e dei servizi sociali nel comune di Correggio ed è stata consigliere provinciale nella sua Reggio Emilia. 
Partiamo dal calcio: la partita Juventus-Roma (1-1) ha ribadito la crescita del settore.
«Il mondiale del 2019 è stato determinante. Ha aperto una nuova strada. Si è scoperto che il football femminile è bello, emoziona, coinvolge. Il pubblico ha gradito la passione delle giocatrici e il fair play generale. Siamo ancora in ritardo rispetto a Nord Europa, Stati Uniti e Giappone, ma le distanze si sono accorciate. E’ aumentato l’interesse dei media e questo per noi è fondamentale, ma serve uno sforzo in più».
In Inghilterra la nazionale ha portato a Wembley 60 mila spettatori. Cifre impensabili per l’Italia. Le ragioni del nostro ritardo?
«Il problema di fondo è stato culturale. Il calcio femminile per decenni non è stato preso sul serio e questo atteggiamento ha pesato nella crescita del settore. La carenza di risorse e l’assenza di un piano di sviluppo, penso soprattutto ai settori giovanili, hanno rallentato l’ascesa».
Eppure qualche pagina di storia la nazionale femminile l’aveva scritta: i quattro gol di Carolina Morace a Wembley, il 18 agosto 1990, Italia-Inghilterra 4-1, furono un’impresa sportiva.
«Ricordo bene quella partita, quel giorno debuttai in Nazionale. Il poker di Carolina conquistò la vetrina dei giornali, ma presto si tornò nell’ombra».
Mondiale 2019: il momento della svolta?
«Italia-Brasile, sette milioni di persone a seguire la partita di fronte alla tv. Perdiamo 1-0, ma la nostra passione conquista l’anima delle persone».
La differenza calcistica rispetto alle grandi nazionali femminili?
«La fisicità. Paghiamo quindici anni di ritardo nei settori giovanili. Molte ragazze hanno cominciato a allenarsi in modo serio dopo i vent’anni».
Le potenzialità da sfruttare?
«La tecnica e la cultura della tattica. Il nostro modello di riferimento dovrebbe essere la Spagna. Le calciatrici di questa nazione sono ispirate da quella maschile: palleggio, velocità, creatività».
La sua stella polare?
«Il Barcellona di Guardiola. Ci ho costruito la mia tesi, dopo aver seguito per qualche tempo gli allenamenti di quella squadra. Mi piace il calcio estetico. Amo la bellezza: Roberto Baggio è stato un modello di eleganza».
Nel suo pantheon c’è solo Guardiola?
«Mi piace l’umanità di Ancelotti». 
Un mese fa lei dichiarò: “Zaniolo va educato”. Si riferiva alla gestione delle emozioni. La reazione nei suoi confronti fu violenta, soprattutto sui social. Anche personaggi del calcio le rivolsero parole pesanti.
«La prima reazione fu di sorpresa. Fui costretta a precisare che mi riferivo al controllo dell’emotività. Per gli sportivi è un aspetto importante. Ho il massimo rispetto per Zaniolo, che considero un patrimonio del calcio e va aiutato sotto tutti gli aspetti. Questa storia mi ha lasciato un malessere profondo, soprattutto per la volgarità del linguaggio usato nei miei confronti».
I social sono un problema della società contemporanea.
«Il mio rapporto è minimalista. Uso Instagram solo per contenuti istituzionali. Il privato non va dato in pasto al pubblico. I social in realtà potrebbero avere una funzione utilissima a livello informativo, ma andrebbe regolato l’uso dei commenti. Penso che la formula “mi piace, non mi piace” potrebbe essere sufficiente».
Domani 8 marzo: che valore ha per lei questa data?
«E’ una giornata simbolo, ma per me ogni giorno è l’8 marzo. C’è ancora molto da fare e c’è moltissimo da difendere: c’è sempre il rischio di tornare indietro».
L’Italia ha un problema serio: il femminicidio.
«Credo che gli uomini siano sempre più in difficoltà di fronte al nuovo ruolo della donna nella società contemporanea. L’aspetto educativo è fondamentale. Anche lo sport, in particolare il calcio, può dare il suo contributo. Far giocare insieme bambini e bambine inculca valori positivi».
Omofobia: anche qui in Italia siamo indietro rispetto a altre nazioni.
«L’assenza di una legge che punisca l’omofobia è un fatto grave. La battaglia civile per scriverla e approvarla riguarda tutti».
Le donne hanno meno timori a parlare apertamente dell’omosessualità, anche nel calcio femminile. Per gli uomini resta un tabù.
«Le donne sono più coraggiose, ma capisco anche che, di fronte agli schemi dominanti, sia molto più complicato per un uomo dichiarare la propria omosessualità. Il rischio è quello di una dolorosa emarginazione». 
La maggiore risorsa delle donne?
«Le donne possiedono un enorme coraggio: nella quotidianità e nelle tragedie della storia. Guardate le immagini di questi giorni della guerra in Ucraina. Donne sotto le bombe, donne al fronte, donne in fuga con i bambini».
Ha paura di questa guerra?
«Molta: per le morti che provoca, per il dolore, per i rischi che stiamo correndo. Gli ucraini stanno lottando contro un nemico forte, una potenza mondiale. Non riuscirò mai a capire le ragioni di una guerra. L’umanità avrebbe tutto per vivere in pace».
Questo conflitto arriva dopo due anni segnati dal Covid: come ha vissuto il 2020 e il 2021?
«C’è stata molta preoccupazione, soprattutto per le persone care di una certa età. Il mio lockdown non è stato particolarmente pesante perché attorno alla mia casa ci sono spazi verdi, ma sono stati mesi di apprensione e di insicurezza».
I suoi pensieri sul movimento NO VAX e su chi ha parlato di dittatura sanitaria per contestare le decisioni dei due governi che hanno gestito la pandemia?
«Sono state dette cose inesatte e talvolta assurde. Si torna al discorso di prima: all’uso spregiudicato dei social».
In passato ha ricoperto ruoli nell’amministrazione della sua terra.
«Reggio Emilia è una città molto connessa alla politica.

Mio nonno fu partigiano: combatté nell’Appennino tosco-emiliano. A casa si è respirata sempre aria di partecipazione».

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