Dimmi Josè, il ritratto di Mourinho fatto da chi lo conosce bene

Josè Mourinho
Josè Mourinho
di Andrea Sorrentino
Mercoledì 9 Giugno 2021, 07:30
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Ai giornalisti ha mollato sberle e spintoni, non solo metaforici, ma possiamo giurare di aver visto Josè, una sera al “Mestalla” di Valencia, abbracciare un cronista italiano e sollevarlo da terra per la felicità, gridando “Amigooooo”. Aveva appena battuto il Barça di Guardiola in finale di Copa del Rey, volo e colpo di testa di Cristiano Ronaldo al minuto 103, era d’aprile, 2011. Erano i giorni incarogniti dei quattro Clasicos in 18 giorni che triturarono i nervi della Spagna tutta, e quello fu l’unico che il Madrid di Josè Mourinho si aggiudicò, e pure l’unica finale importante persa da Guardiola fino alla Champions di dieci giorni fa. Era talmente euforico, Josè, che vide il cronista dei tempi dell’Inter e reagì di impeto, con un abbraccio violento e un mezzo giro di valzer, col giornalista ruotato in aria, e lui a ridere come un matto. 
UN UOMO DI FEDE
Josè è tattile. Se è in buona ti accarezza addirittura, se non lo è, e capita quando perde o quando pareggia partite già vinte, meglio girare al largo, diventa una belva. Come quella sera a Bergamo dopo un 1-1 in rimonta dell’Atalanta: alla fine Josè è una furia, vede un giornalista troppo vicino al pullman dell’Inter per carpire informazioni, e lo spintona via, dicendo cosacce. La pagherà, con deferimento e multa da complessivi 30mila euro. Manesco, se capita: del dito nell’occhio a Tito Villanova sanno tutti, ma pure a Mario Balotelli una volta ha staccato la catenina dal collo durante un corpo a corpo ad Appiano, e un’altra, dopo un Rubin Kazan-Inter 1-1 in cui si era fatto espellere da fesso, Mario si sentì arrivare un tavolo di legno tra capo e collo, e non ebbe dubbi sull’identità del lanciatore. Quanta vita abbiamo passato dietro Josè. La prima volta a Montecarlo, dopo una Supercoppa vinta dal Milan sul suo Porto, 1-0 gol di Sheva: alla fine c’era questo portoghese che protestava in sala stampa, si parlava già bene di lui perché aveva appena vinto la Coppa Uefa da sconosciuto, ma già era famoso per il suo caratteraccio e infatti ce l’aveva con l’arbitro. L’anno dopo, Gelsenkirchen, finale di Champions, 3-0 del Porto al Monaco, trionfo. Lui scappa dal campo appena presa la medaglia, mistero. Josè, perché l’hai fatto? “Motivi miei”. Pare l’avessero minacciato di morte alla vigilia, mah. In realtà stava scappando al Chelsea, e lui detesta gli addii. Come dopo la Champions interista, sua seconda e ultima: scappa dal Bernabeu in amore e dai suoi giocatori, nemmeno torna a Milano per la festa di popolo ma rimane a Madrid e va da Florentino Perez. Cinico senza cuore? Macché, l’uomo oltre che religiosissimo (a Roma andrà per chiese, vedrete), è di passioni e amori durevoli, per la sua famiglia e pure per il suo adorato cane, Leya, uno yorkshire che era come un figlio: per Leya a Londra si fece arrestare, perché i policemen volevano metterlo in quarantena, per Leya ha pianto in diretta tv, annunciandone la morte tempo fa. 
HOLLYWOODIANO 
Caro Josè, quanto ti piaceva e ti piace Los Angeles (e quanto detesta posti meno occidentali, come Riad o Pechino): il clima secco e perfetto, le strutture di Ucla ideali per allenarsi, quel glamour hollywoodiano che aderisce perfettamente al suo ego, quella profezia che da laggiù, in un aeroporto, fece ai suoi giocatori smarriti perché era appena andato via Ibrahimovic («Con Eto’o possiamo vincere la Champions», e così fu, 10 mesi dopo), gli incontri sempre interessanti, come quando al Beverly Hills Hotel spuntò Magic Johnson, o quando Charlize Theron presenziò a una partita dell’Inter. Le donne, già. Molte invaghite pazzamente, ree confesse come Alba Parietti, o più timide. Fuori dagli hotel dell’Inter ce n’era sempre qualcuna che tentava l’impossibile per avvicinare Josè, e una delle più intraprendenti (respinta come le altre) pare che ora sia la compagna di un uomo molto in vista, ma è passato tanto tempo, i ricordi si offuscano. Ricordare sempre che Josè è religioso, bacia il crocifisso appeso al collo e prega spesso, come quella sera a Madrid, semifinale di Champions 2012, rigori contro il Bayern, e lui in ginocchio sul prato in orazione muta: sbagliarono Cristiano, Kakà e Sergio Ramos, cioè i migliori, e Josè tornando a casa pianse. Quattro semifinali consecutive gli abbiamo visto perdere: col Barça, grazie a un arbitraggio maligno che scatenò il celebre “porqué porqué porqué”, col Bayern, col Dortmund di Lewandowski che quella notte schiaffò 4 gol sul muso dell’allora tenerissimo Varane, con l’Atletico di Simeone. 
L’ULTIMA VOLTA 
L’abbiamo incrociato al Lowry Hotel di Manchester, dove ha vissuto per due anni e mezzo in una suite da 800 sterline a notte e dove anche per una birra aveva una saletta riservata e recintata. «Amigo, prendi qualcosa?».

Erano già i suoi ultimi giorni, era in rotta col club: «Ma sai quanti soldi devono darmi per cacciarmi? Ah ah ah». Lo esonerarono lo stesso, ma sapeva anche quello. L’uomo è di tempra fortissima, di solito prevede ogni cosa, ha antenne speciali, Roma imparerà a conoscerlo e ad amarlo. Ed è forte anche fisicamente, pure se non sembra: quella notte, a Valencia, mi sollevò come un fuscello.

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