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Roma, Mourinho alza il muro: la squadra è con lui ma l'addio non è tabù

Le parole dello Special One scuotono i tifosi e il club

Roma, Mourinho alza il muro: la squadra è con lui ma l'addio non è tabù
Roma, Mourinho alza il muro: la squadra è con lui ma l'addio non è tabù
di Stefano Carina
Articolo riservato agli abbonati
Martedì 21 Febbraio 2023, 12:00
4 Minuti di Lettura

Fare l'esegesi delle parole di José Mourinho è sempre scivoloso. Perché non sai mai qual è il fine ultimo dello Special che a livello di comunicazione potrebbe tranquillamente tenere una cattedra universitaria. E quindi, la questione dei fischi - che ieri ha spaccato la città via social e attraverso il consueto tam tam radiofonico - ha una doppia lettura, tra chi ritiene che sia una mossa per infuocare l'Olimpico in vista di giovedì e altri che lo vedono come un tentativo, rischioso, di alzare la tensione e allo stesso tempo cementare il gruppo. Tesi avallata dall'assemblea pubblica al fischio finale della gara col Verona in mezzo al campo e in favore di telecamera. Della serie: siamo noi, la famigerata famiglia, contro tutti. Forse a José avrebbero dovuto spiegare che la minor partecipazione del pubblico e i fischi che ha ascoltato (in uno stadio che ha fatto registrare il 23° tutto esaurito consecutivo) riguardavano perlopiù dinamiche di curva e che le proteste o quantomeno il disappunto che l'Olimpico riserva a squadre che non rubano l'occhio a livello estetico, normalmente sono ben diverse. Ma la questione principale è un'altra. Ben più profonda. 

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Detto che il voler ribadire il concetto che «nella Roma adesso non ci sono Cafu, Maicon, Totti, Montella e Batistuta», più che una difesa dei suoi ragazzi è sembrato un modo per rimarcare l'abisso tecnico tra la rosa che aveva a disposizione Capello quando ha vinto lo scudetto e la sua attuale, c'è un altro elemento che non è passato inosservato. E riguarda il monito lanciato nella conferenza post-gara: «Parleremo a fine stagione, avrò molte cose da dire...». Parole sibilline che a febbraio sottintendono un vaso di Pandora da scoperchiare, al netto delle rassicurazioni che arrivano da Trigoria di un progetto condiviso. Considerazioni che nascondono un malessere e che spesso sono il preludio ad un distacco. Al di là di come la si possa pensare, per una volta la strategia di José non convince fino in fondo. Sarà perché bene o male è la stessa che utilizzava 20 anni fa quando lì sì spiazzava un po' tutti, proponendosi come un innovatore in materia. Oggi gli interlocutori ai quali si rivolge sono consapevoli che ogni volta che affonda un colpo è per mandare un messaggio preciso. Che sia a Pinto, alla squadra, ai media o ai Friedkin, poco cambia. Il rischio è che quando si lascia guidare dall'istinto e dall'impulso può anche accelerare processi e alimentare inquietudini che si trasformano in boomerang per una squadra composta perlopiù da bravi ragazzi. 

La questione di fondo, del resto, è sempre la solita: lo Special One - nonostante abbia un contratto fino al 2024 - condiziona il suo ultimo anno nella Capitale ad un piano di rafforzamento che, visti i paletti del settlement agreement, appare difficile soddisfare. Il fatto poi che debba rapportarsi con una proprietà che fa della discrezione e dell'imprenditorialità i suoi dogmi, non aiuta. Per intenderci: Dan Friedkin è lo stesso che ha dato il via libera per il rinnovo di Pellegrini a 8 mesi dalla scadenza. E se Zaniolo non avesse accelerato insieme al club i passi della separazione, del prolungamento del contratto se ne sarebbe parlato soltanto la prossima estate. Ergo, discutere delle strategie del prossimo anno, quando in ballo ci sono ancora una qualificazione alla prossima Champions (e i 40 milioni che porta in dote) più un'Europa League da giocare, per il magnate americano ha poco senso. Un inedito anche per un tipo navigato come Mourinho. Forse, per la prima volta in carriera, José si è imbattuto in un presidente impermeabile alle pressioni - esterne o interne che siano - che si prende il lusso di scegliere il tempo e il modo di affrontare temi riguardanti il futuro. L'interlocutore non fa differenza: Pellegrini, Zaniolo o Mourinho, alla fine è Dan a decidere. E poco importa che panchine importanti si stiano liberando e non c'è media internazionale che non accosti lo Special una volta al Psg, un'altra al Chelsea o un'altra ancora al Real Madrid, se Ancelotti accettasse il corteggiamento del Brasile. A Trigoria hanno deciso di correre il rischio. Che di settimana in settimana sembra sempre più incombente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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