Questo derby da cuore in gola per i 62mila dell’Olimpico, con spettatori da 113 nazioni diverse e incasso da jackpot milionario, parte come un tavolino zoppo. Mancano dolorosamente i più bravi, il sale della terra e dello spettacolo che sarebbe stato, e non sarà: senza Dybala e Wijnaldum, senza Immobile e Milinkovic-Savic, si giocherà un calcio di qualità inferiore alle possibilità di Roma e Lazio. Ma in fondo sono quisquilie: è la partita più risultatista che ci sia e conterà solo l’esito finale, e le sue conseguenze. Dopo il 90’ gli assenti e quella seccatrice dell’estetica (cos’è, poi, il bel calcio? Nessun lo sa) saranno chiacchiericcio, pulviscolo dell’universo, lamentazioni dei perdenti. Alle otto della sera, abbottonando il primo cappotto della stagione, finalmente sapremo: chi vince il derby decolla, e potrà guardare la classifica con una certa sfacciataggine, e occhi sognanti. Un pareggio invece lascerà tutti nel limbo, in questa indefinitezza di prospettive e di ambizioni che gli incerti cammini in Europa League hanno fatto intravedere per entrambe. Stasera sapremo di più. Il derby cade preciso a un terzo del campionato, quando si deve ormai uscire allo scoperto. Chi ne avrà la forza? Questo è il problema. Augurandosi che il problema non sia invece l’arbitraggio del temuto (da tutti) Orsato, l’ex arbitro numero uno in Italia che un anno fa nell’intervallo di Juve-Roma svelò al mondo di non conoscere il regolamento («Rigore su gol è rigore») e che in questa sua stagione di fine carriera ha un curiosissimo incedere: solo tre partite arbitrate in serie A, ma ben 7 in campo internazionale. Chissà che vorrà dire.
Lo sanno anche i sassi: le vere stelle del derby sono gli allenatori. Mourinho e Sarri, come capita ad altri colleghi di serie A (Allegri su tutti), sono molto più bravi dei loro giocatori, intesi come valore medio. Infatti saranno Mou e Mau i padri della vittoria o della sconfitta di stasera. Intanto è opinione diffusa che la Roma arrivi meglio al derby, di sicuro con più baldanza, dopo 4 vittorie nelle ultime 5 gare e dopo i fatti dell’ultima settimana in casa Lazio. Poi i risultati di certe partite possono essere ingannevoli sopra ogni cosa: a guardare i primi tempi delle gare di Europa League di tre giorni fa, per dire, non c’era da scommettere un penny sulla Roma, e puntare tutte le fiches sulla Lazio, poi è andata in un altro modo. In fondo, fino a otto giorni fa la Lazio volava, prima delle cadute con Salernitana e Feyenoord, costellate di attenuanti. Come sta, davvero, la Lazio? Di sicuro le assenze di Ciro e Sergej sembrano più gravi di quelle di Dybala e Wijnaldum, e soprattutto la Lazio non è brava a mascherare i suoi disagi, che quando emergono la stizziscono e la affossano; cosa che invece riesce benissimo alla Roma, maestra di resilienza e di rimonte, squadra da trincea che accetta i suoi limiti e li combatte trasformandoli in pregi, e che con appena 16 gol (ottavo attacco del torneo) si è arrampicata al quarto posto. Bestie strane, Roma e Lazio: sembrano tardo-adolescenti sospesi, vorrebbero addentare il futuro ma forse non ne saranno in grado. Hanno un ventre molle che Mourinho e Sarri dovranno portare alla luce nell’avversario, e chi ci riuscirà avrà partita vinta: sono entrambe friabilissime quando perdono palla, perché a centrocampo non sono strutturate, per motivi atletici e di caratteristiche, a correre rapidamente all’indietro, oltre a non avere esterni difensivi davvero affidabili.
Ma la posizione-chiave di Roma-Lazio sarà quella di Lorenzo Pellegrini. Finora, nelle grandi partite e contro registi davanti alla difesa (Asllani nell’Inter, Lobotka nel Napoli), il capitano giallorosso è andato in pressione uomo contro uomo, anche a costo di perdere lucidità in fase offensiva, perché così ha voluto José. Oggi Pellegrini potrebbe ripetersi, in uno scontro tra capitani, su Cataldi, che è più interditore che regista, ma sempre in quella zona centrale giostra. Se invece Pellegrini si sistemasse sulla linea di un centrocampo a cinque, allontanandosi dalle punte, vorrebbe dire che anche la Roma si predispone alla prudenza estrema. Del resto, questo sarà: un derby all’insegna della cautela, chi si scopre è perduto, poi ci pensino là davanti. Abraham, che ha già deciso un derby, e Zaniolo, che non l’ha fatto mai, ma non vede l’ora, e ormai è in mutazione genetica verso il ruolo di centravanti di sfondamento, non più trequartista. O Pedro, che ha già infierito su entrambe le sponde, e Zaccagni, che sogna il primo dispetto ai romanisti, e a Zaniolo per noti e vecchi motivi. Quanto fuoco arde sotto il derby. Speriamo ne siano tutti all’altezza. Mourinho e Sarri lo saranno in ogni caso, sono due califfi. Su tutti gli altri, non v’è certezza.