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Spinazzola, corsa, lacrime e sorrisi:
«È l'allegria il segreto del successo»

Spinazzola: «A Monaco ho finito le lacrime. Ora sono distrutto, ma non smetto di sorridere»
Spinazzola: «A Monaco ho finito le lacrime. Ora sono distrutto, ma non smetto di sorridere»
di Ugo Trani
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 14 Luglio 2021, 00:25 - Ultimo agg. : 06:55
4 Minuti di Lettura

Il riconoscimento della Roma arriva all’ora della pennichella, meritatissima, della Freccia Azzurra. Subito dopo pranzo e prima della pioggia. La foto in vetrina, al momento di ufficializzare la nuova maglia, è quella di Leonardo Spinazzola. È la più grande, in copertina. Poi arriveranno anche le altre dei titolari a disposizione di Mourinho. Ma il primo pensiero del club giallorosso è per il suo campione d’Europa. «Sono giorni fantastici per me», ammette Spina anche se già smania da convalescente. È ancora nella Capitale, nella villa di Casal Palocco. Accanto ha la moglie Miriam, pugliese conosciuta da ragazzino nella sua Foligno e sempre presente all’Olimpico per le tre partite della prima fase dell’Europeo, il primogenito Mattia, 3 anni e la maglia azzurra numero 4 del papà sempre addosso, e Sofia che è nata solo quattro mesi e mezzo fa. C’è anche Yago, il golden retriever che sta spesso sdraiato vicino al difensore. 

Video

In campo a Wembley per prendere la sua medaglia e sulle spalle di De Rossi per salutare i tifosi. Come sta Spina?
«Distrutto. La gamba non c’entra. Sono state ore pesantissime. Emozione, ma anche tanta fatica. Sempre con le stampelle. Non so di quanti giorni ho bisogno per riprendermi. Non esco di casa, penso solo a riposarmi. Ma quel viaggio a Londra non potevo certo perdermelo e nemmeno il lunedì con il Quirinale, Palazzo Chigi e i festeggiamenti».

Ha rispettato la promessa fatta ai compagni. Disse che sarebbe tornato per la finale. Dove ha trovato questa sicurezza?
«A Coverciano. So come abbiamo lavorato. In ritiro e anche prima. La nostra nazionale ha giocato meglio delle altre dall’inizio del torneo, confermando le vittorie e soprattutto le prestazioni delle qualificazioni. Successo meritato, dunque. Lo hanno riconosciuto pure gli avversari». 

Tra le bellissime immagini dell’Europeo c’è l’abbraccio di Mancini nel ristorante di Coverciano prima del suo ritorno a Roma per andare a operarsi in Finlandia. Una stretta intensa e significativa del ct. Che rapporto si è creato tra voi?
«Mancini è quello che avete visto in quella foto e in tante altre. È successo con me che ho partecipato a questa impresa, ma si è comportato così pure con chi ha dovuto lasciare Coverciano, uscendo dalla lista dei ventisei convocati. Lo stesso affetto il nostro ct lo ha dedicato a loro, rendendoli comunque partecipi».

Il legame con Mancini, ma anche quello tra voi giocatori. Scherzi, canti e vittorie. Come è stata la vita di gruppo, vista da dentro?
«Ho parlato del ct proprio per sottolineare l’importanza di aver creato l’ambiente ideale per arrivare al risultato. La nostra è una famiglia più che un gruppo. Legatissimi. In campo e fuori. Coinvolti pure quelli che sono rimasti a casa. Li abbiamo spesso sentiti, hanno tifato». 

Bernardeschi, sul charter che vi ha riportato da Monaco a Firenze, ha preso il microfono e ha cominciato a intonare il coro «Spina-Spina». Che cosa ha provato?
«Sono state ore in cui la commozione è stata grande. Non mi ricordo se ho pianto. Ho finito le lacrime all’Allianz Arena».

Il suo Europeo è durato fino al 2 luglio, al minuto 32 della ripresa nel quarto contro il Belgio. Che cosa le viene in mente se ripensa a quell’ennesima corsa sulla fascia dopo aver tra l’altro evitato il pari di Lukaku con il salvataggio di coscia?
«La gravità dell’infortunio. Me ne sono subito reso conto. Ho pianto perché sicuro di dovermi arrendere sul più bello. Più del dolore mi ha fatto male sentirmi fuori dalla competizione. Ho continuato a piangere negli spogliatoi. E quando sono rientrati anche i compagni, hanno pianto con me invece che festeggiare la vittoria».

Poi che cosa è successo?
«Ho detto basta e ho sorriso. Del resto con l’allegria, dal primo giorno del ritiro, siamo arrivati al successo finale. Il nostro segreto per vincere il trofeo. È andata proprio così».

Nel messaggio che ha dedicato al gruppo dopo l’infortunio, ha scritto che avrebbe ripetuto quello scatto. Davvero così convinto?
«Sì, mi ripeto: lo farei altre centro volte per prendere un metro in più all’avversario. È lo spirito della nostra nazionale: bisogna dare l’anima per i tuoi compagni se si vuole arrivare fino in fondo».

Pensa che l’Europeo sia stato il momento chic della sua carriera?
«Il più bello sì, non il migliore. Da quando gioco, a cominciare dalla mia esperienza all’Atalanta, cerco di dare il massimo. In questo caso la differenza la fa il palcoscenico. Ho avuto più consenso a livello internazionale».

È stato inserito nella top 11 del torneo ed eletto in 2 delle 4 partite come man of the match. Sono solo premi di consolazione?
«Sono trofei personali che ho portato a casa con l’infortunio al tendine d’Achille. Non contano le mie prestazioni, ma il risultato della Nazionale. Che non è solo del ct e dei giocatori. Dai magazzinieri ai cuochi, il titolo è merito di tutti».

Quando va in ferie?
«Non credo prima di fine mese. Ancora non posso iniziare la fisioterapia. Devo aspettare una settimana, quando mi leveranno il gesso e i punti. Sono qui con me anche i miei bambini e mia moglie. Aspettano me per le vacanze, non mi togliete anche loro».

Come è andato il primo incontro con Mourinho?
«Mi ha fatto piacere conoscerlo. È stato carino, mi ha detto che lui e la squadra mi aspettano in campo. Gli ho risposto che dovrà avere pazienza, la stessa che ho io». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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