Olimpiadi, Malagò guarda a Tokyo:
«Basta rinvii, il governo ci rispetti»

Olimpiadi, Malagò guarda a Tokyo: «Basta rinvii, il governo ci rispetti»
di Francesco De Luca
Venerdì 8 Gennaio 2021, 08:00
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Giovanni Malagò conta con crescente preoccupazione i giorni che mancano alla riunione dell'Esecutivo del Cio, che mercoledì 27 potrebbe decretare una clamorosa decisione: né tricolore né Inno di Mameli ai Giochi di Tokyo, gli azzurri sotto la bandiera Ioc, Atleti Olimpici Individuali. Il rischio di questa sanzione, attuata nei confronti di Russia e Bielorussia, è forte perché il comitato olimpico mondiale esige che quello italiano, il Coni, sia autonomo come prevede la carta olimpica. «Ci troviamo da due anni in tale situazione e non so sinceramente fare previsioni», dice il capo dello sport italiano nell'intervista al Mattino.

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Presidente Malagò, alla cerimonia inaugurale dei Giochi di Tokyo il 23 luglio la squadra italiana sfilerà dietro al tricolore o a una bandiera bianca a cinque cerchi?
«L'interrogativo è sempre più ricorrente visto che si avvicina la riunione del 27 gennaio. Non saprei cosa dire, rispondo per conto di Bach, il presidente del Cio, ricordando il principio dell'autonomia del comitato nazionale e dello sport rispetto alla politica, sancito dall'articolo 27 della Carta Olimpica. Basta un esempio per far capire la situazione. Se fai una violazione del codice penale sei sanzionato? Certamente sì e poi va stabilita la sanzione. Da due anni l'Italia è in posizione irregolare nel sistema olimpico internazionale: siamo fuori dall'ordinamento. Quanto richiesto a più riprese direttamente dal Cio al nostro governo, e promesso da Conte a Bach il 24 giugno 2019 quando furono assegnati a Milano e Cortina i Giochi invernali 2026, non è stato realizzato per un mancato accordo nella maggioranza del precedente governo e di questo. Per due anni ci sono state parole e parole. La legge delega per la riforma dello sport è scaduta nello scorso novembre e ora ci vorrebbe un decreto legge. È una situazione negativa e preoccupante».

Si risolverà nelle prossime ore?
«Il mio ottimismo è paradossalmente basato su questo: da tempo si sapeva che saremmo dovuti intervenire, stiamo per arrivare all'ultimo secondo e questo è il Paese in cui non c'è programmazione e nell'emergenza siamo abituati a dare il meglio di noi. La situazione è realisticamente e tristemente questa».

Cosa rappresenta Tokyo?
«Il momento della ripartenza dello sport mondiale e direi anche del pianeta perché sarà il primo evento globale dopo l'esplosione della pandemia. Non possiamo parlare del quadro ma della cornice, perché la sostanza delle Olimpiadi è tutta da definire. Sarà un'edizione diversa e speciale, con regole molto rigide. Ci sono sempre state sul piano della sicurezza, adesso lo saranno anzitutto su quello sanitario, con l'obbligo per l'atleta di ripartire per il suo Paese entro 48 ore dalla gara e si possono immaginare le difficoltà sul piano della logistica e dei trasporti. Ma è un evento che merita qualsiasi tipo di attenzione, sacrificio e obbligo perché paragonabile soltanto ai Giochi del 48, quelli successivi alla Seconda guerra mondiale: anche allora il mondo si ritrovò».

Ha già un obiettivo medaglie?
«A Rio, cinque anni fa, dissi che ne avremmo conquistate più di Londra 2012: arrivammo a 28. E stavolta mi auguro che siano più di Rio. Mi sto confrontando con presidenti federali e tecnici, pensiamo tutti che vi saranno grandi sorprese. È un effetto che già si è visto nei campionati di calcio: in quelli più prestigiosi, a metà stagione, c'erano già squadre leader, dalla Juve al Psg e al Bayern Monaco, invece adesso domina l'incertezza.

E una maggiore imprevedibilità si è notata anche in sport individuali come ciclismo e tennis. Possono incidere più fattori: qualità e intensità degli allenamenti, interruzione obbligata per chi si è contagiato, impatto emotivo per l'assenza del pubblico. Possono esservi vantaggi e svantaggi soprattutto, più negli sport di squadra che in quelli da cronometro».

Alcuni atleti hanno anticipato il ritiro nella primavera di un anno fa, quando venne deciso il rinvio dei Giochi. Lei ha convinto altri ad insistere?
«È dalla fine del primo lockdown che sono in contatto con questi atleti avanti negli anni per aggiornarmi sulle loro intenzioni. Ce ne sono state due, Tania Cagnotto ed Elisa Di Francisca, che non hanno voluto attendere Tokyo perché hanno progetti familiari mentre Federica Pellegrini ha deciso di portare le lancette avanti di dodici mesi. Questa situazione, di contro, ha favorito altre atlete che hanno avuto più tempo a disposizione per prepararsi: penso alle giovanissime Larissa Iapichino nell'atletica e a Benedetta Pilato nel nuoto».

Dieci mesi di profonda sofferenza anche per lo sport: dallo stop alla ripresa graduale ma senza pubblico per il professionismo; la chiusura degli impianti per l'attività di base. Da dove si potrà ripartire?
«Un anno complicato e drammatico evidentemente per tutto il Paese, con l'epidemia che non accenna a fermarsi e colloca in secondo o terzo piano i problemi dello sport. Ma i danni sono evidenti per il vertice come per la base della nostra struttura e spaventose rischiano di essere le complicazioni nei prossimi anni. Un quadro che oggi non è definibile. Milioni di ragazzi sono stati costretti ad allontanarsi dallo sport: quanti di essi torneranno a praticarlo? E dove? Perché tante associazioni hanno mollato o potrebbero mollare: ne nasceranno altre al loro posto? I giovani che per mesi hanno abbandonato lo sport dovranno recuperare una dinamica mentale, oltre che fisica, e non sarà facile. Ci dovrà essere, a quel punto, un Paese in grado di dare stimoli e sostegno a queste attività: sportivamente parlando, conteremo molti feriti, speriamo non troppi morti. Il recovery plan rappresenta un'occasione da sfruttare per aiutare l'impiantistica scolastica, ad esempio».

Stadi e palazzetti chiusi al pubblico: lei vi è mai più entrato?
«Sono intervenuto per dovere istituzionale ai Mondiali di ciclismo, organizzati a Imola in venti giorni, e lo farò anche per quelli di sci a Cortina. Ma non ho più assistito dal vivo a una gara di calcio o altri sport perché, come ricordò il Presidente Mattarella prima della finale di Coppa Italia Juventus-Napoli, vanno rispettati i cittadini che non possono recarsi negli impianti a seguire un evento: era doveroso questo segnale da parte mia».

C'è un'attesa molto forte per la riapertura degli impianti sportivi.
«Sul tema non mi sono mai sbilanciato. Lo ritengo un obiettivo ma parlarne adesso non è serio, considerando la situazione che attraversa il Paese».

Dopo la decisione del Collegio di garanzia dello Sport presso il Coni su Juve-Napoli il presidente della Federcalcio Gravina ha dichiarato al Messaggero: «È quanto meno irrituale che, almeno ultimamente, quasi tutte le decisioni vengano riscritte senza nemmeno consentire un nuovo giudizio».
«Lontana da me l'idea di una polemica e assoluto rispetto per le decisioni dei giudici del Collegio di garanzia che è dello Sport e non del Coni. E, peraltro, non mi risulta che tutte le decisioni siano state riscritte».

Il 13 maggio a Milano in programma le elezioni per la presidenza del Coni: quali sono gli obiettivi del Malagò-ter?
«Sul tavolo idee importanti, forti e coraggiose ma è prematuro esternarle in questa fase, tra il discorso dell'autonomia del Coni e la gestione della pandemia. Le assemblee federali hanno dato già un'indicazione importante sulla presenza di donne negli organi direttivi del 30 e anche del 50 per cento. Ciò vi sarà anche nella giunta e nel consiglio nazionale del Coni, una significativa novità». 

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