A che Giochi giochiamo? Al via le Olimpiadi del Covid, le più difficili di sempre

A che Giochi giochiamo? Al via le Olimpiadi del Covid, le più difficili di sempre
di Piero Mei
Venerdì 23 Luglio 2021, 07:30 - Ultimo agg. 13:00
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I giorni del virus e dei Giochi: le Olimpiadi che si chiamano Tokyo 2020 ma si tengono nel 2021, e questo denuncia immediatamente l’anomalia che stiamo vivendo, saranno dichiarate aperte oggi da Naruhito, l’unico imperatore sulla faccia della Terra. Pare che il sovrano e i suoi consiglieri stiano lavorando sull’antica formula, cercando la sostituzione della parola “celebrazione”, perché dell’allegria della festa che la parola suggerisce, dovrebbero esserci poco o niente. I Giochi, poi, sono già cominciati da un paio di giorni perché i giorni ufficiali non bastano più a contenere tutti i tornei delle discipline via via introdotte nel programma-palinsesto, inseguendo i mutevoli gusti dell’audience. E sono cominciati proponendo simboli dell’attualità: a Fukushima, la città vittima anni fa di uno tsunami e di un disastro nucleare (i cambiamenti climatici, la corsa all’energia), gli stadi freschi di costruzione vuoti e quindi muti, le ragazze del calcio in ginocchio prima del fischio d’inizio, perché i giovani sanno che “Black Lives Matter”, un orso bruno avvistato a circolare, curioso e libero, senza protocolli, nei dintorni di un impianto.


La cerimonia di apertura sarà, dice l’organizzazione, “solenne, non un festival”. Dimenticatevi Rio o Londra con la Regina nel ruolo di Bond Girl. Propone riflessioni d’attualità: il musicista dimesso perché da bambino bullizzava i disabili e da adolescente se ne vantava (oggi è più che cinquantenne), un direttore artistico dimesso perché, da comico, aveva lanciato una ignobile battuta sull’Olocausto, tragedia dell’umanità sulla quale ogni battuta è francamente ignobile. Un segno distintivo di questi Giochi era stato pensato nella mescolanza dei generi: lo sport misto, uomini e donne in campo o in acqua insieme, nuova frontiera della non discriminazione, rappresentata anche dagli alfieri in coppia. L’ammissione di una sollevatrice di pesi che prima della transizione era un sollevatore di pesi è altro argomento di non discriminazione: se ne discute e discuterà.
Poi c’è la novità di alcune discipline neointrodotte: cose che possono attirare i nativi digitali che vedranno in carne e ossa quello che di solito vedono in pixel e guidano con i joystick nei videogiochi, gli skaters, i surfisti, quelli che si arrampicano su pareti ripide. E’ voglia di audience. L’audience è tutto: è per non perdere i diritti televisivi, che sono la fonte prima d’introito del Cio, che “questi Giochi si avevano da fare” e si faranno, o almeno cominceranno, perché il conteggio dei contagi si fa sempre più preoccupante nei suoi cerchi concentrici: il mondo, la città di Tokyo, il Villaggio Olimpico. Dove una volta lo sconosciuto atleta del Terzo (e anche Quarto) mondo passeggiava con Bolt, LeBron James o la Pellegrini. Ora se ne staranno tutti chiusi in camera.
Dei tre nominati, solo Federica sarà in gara. LeBron sta girando un film, il sequel di Space Jam, Bolt sta combattendo una inutile battaglia contro le scarpe magiche che oggi indossano gli atleti e che potrebbero aiutarli a togliergli i record: ma pure lui mica correva sulla terra rossa come Owens o Bob Hayes. Bolt: perché quando i Giochi partiranno, il mondo partirà alla ricerca del nuovo Usain, anche se i primi giorni olimpici sono del nuoto e dunque è aperta la caccia agli squali, il nuovo Phelps. Il dopo Pellegrini verrà poi. Ecco: al primo tuffo, al primo sparo, al primo balzo, alla prima stoccata, al primo colpo di pedali (forza Top Ganna!) non si sentirà la musica dello stadio ma l’animo del tifoso e dell’atleta saranno gli stessi. L’uomo più veloce del mondo su terra (sarà Brommel? Sarà Knighton?), l’uomo più veloce in acqua (sarà Dressel?). E’ l’ora dei pronostici: l’Italia viene vista fuori di qui anche in posizione più alta di quella che le si riconosce in casa. Un anno in più per prepararsi, ma è stato un anno in cui non ci si poteva preparare, chiusi o semichiusi, il cuore e la mente altrove. I giovanissimi hanno avuto dodici mesi per maturare meglio e per questo ci si aspetta che la Generazione Z “spacchi”.
A che Giochi giochiamo? Chissà.

 
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